Ep. 287 - Papale papale - "Felicità"
Paolo VI,
Questa parola «felicità», tutti lo sanno, è fra le più usate ed abusate nella conversazione umana; gli antichi vi componevano trattati di filosofia della vita; i moderni preferiscono tentarne, talvolta con spregiudicata audacia, l’esperienza; vi è oggi in molti ambienti una frenesia di felicità, di intensità di godimento, di dolce vita; si confonde la felicità col piacere, ed il piacere con la sazietà dei nutrimenti terrestri; anche il lavoro, la più nobile forma dell’attività umana, tende talora a risolversi in un edonistico benessere, che finisce talvolta per screditarlo e vanificarlo. (...) Fratelli e Figli! Chi segue Cristo, com’Egli stesso ci ha assicurato, non cammina nelle tenebre. Cristo è la luce del mondo. E chi guarda a Lui vede rischiararsi i sentieri della vita. Sono sentieri aspri e stretti, alle volte; ma sono sentieri sicuri, che non smarriscono la mèta; la mèta della vera felicità.
Pio XII,
Cristo solo, che ci ha tolti al triste servaggio della colpa, può insegnare a spianare la via verso una libertà nobile e disciplinata, appoggiata e sostenuta su di una vera rettitudine e consapevolezza morale. Cristo solo, « sulle cui spalle riposa il dominio » (cfr. Is. 9, 6), con la sua soccorritrice onnipotenza può sollevare e trarre il genere umano dalle angustie senza nome, che lo tormentano nel corso di questa vita, e avviarlo alla felicità.
Benedetto XVI,
Sì, la gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora, e l'anima è nella gioia. Se invece si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù. È questa, purtroppo, la proposta delle culture che pongono la felicità individuale al posto di Dio, mentalità che trova un suo effetto emblematico nella ricerca del piacere ad ogni costo, nel diffondersi dell'uso di droghe come fuga, come rifugio in paradisi artificiali, che si rivelano poi del tutto illusori.
Giovanni Paolo II,
L’esperienza del figlio prodigo, narrata da Gesù, vi sia sempre di ammonimento e di ammaestramento!
(...) Il figlio prodigo ad un certo momento rientra in se stesso, capisce di aver sbagliato: ha abbandonato la casa, il padre, la gioia dei veri affetti e della vera amicizia, la pace della coscienza pura e innocente; ne risente la nostalgia, e si pente; ha il coraggio di riconoscere l’errore; sa di doversi convertire e riscopre la fiducia in suo Padre, anche se non merita più di esserne ritenuto figlio: “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te!”. Con questa scena, Gesù vuole insegnarci che se, per disgrazia, qualcuno avesse anche tradito la verità e l’innocenza, fuggendo dalla casa del Padre, non deve mai disperare dell’amore di Dio, deve pentirsi al più presto e convertirsi. Dio vuole la salvezza e la felicità di tutti gli uomini!
Francesco,
Ridiamo fiato ai desideri di felicità dei giovani! Sì, loro hanno desideri di felicità: ridiamo fiato, apriamo il cammino. Ognuno di noi sperimenta qual è l’indice della propria felicità: quando ci sentiamo ripieni di qualcosa che genera speranza e riscalda l’animo, e viene spontaneo farne partecipi gli altri. Al contrario, quando siamo tristi, grigi, ci difendiamo, ci chiudiamo e percepiamo tutto come una minaccia. Ecco, la natalità, così come l’accoglienza, che non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società. Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, di accogliere, mentre una società infelice si riduce a una somma di individui che cercano di difendere a tutti i costi quello che hanno. E tante volte si dimenticano di sorridere.