Ep. 243 - Papale papale -"Profughi"
Pio XII,
Nella desolazione che vi ha privati della felicità domestica, voi, diletti figli e figlie, che le presenti calamità hanno costretti ad andar dispersi, raminghi, senza focolare, forse separati gli uni dagli altri delle vostre stesse famiglie, spesso ignari e vaganti senza notizie di coloro, a cui il sangue e l’amore maggiormente vi legano, inquieti per la loro sorte, come essi sono trepidanti per la vostra; voi, però, a cui la fede addita un Padre celeste, che ha promesso a quanti lo amano di volgere tutto al bene, anche le cose più gravose ed amare (Cf. Rom., 8, 28) ; voi siete oggi venuti, attratti e sospinti da filiale impulso, a ricevere dal Vicario di Cristo una parola di benedizione e di conforto.
Vi siete adunati intorno a Noi, non per apprendere l’angoscia di quel paterno affetto, che Ci accomuna con voi nel dolore, perché di ciò siete già consapevoli, ma a sentire dal Nostro stesso labbro e a leggere sul Nostro volto che la somma dei vostri affanni è tutta Nostra e Ci amareggia nell’intimo del Nostro cuore.
Giovanni XXIII,
Diletti figli e figlie. L'odierno incontro si accende di luminoso splendore, di rattenuta e trepida commozione. E luce che proviene dalla Santa Famiglia, avviata da Betlem verso gli ignoti lidi dell'Egitto; è commozione, che prende ogni cuore, nel meditare la mite pazienza di Gesù, di Maria sua madre purissima, e di San Giuseppe, virgineo custode di entrambi, nelle umiliazioni della fuga improvvisa, delle strettezze senza numero e della solitudine in terra straniera.
Di là, da quell'episodio della Sacra Famiglia esule, traggono motivo e alimento l'affetto e la sollecitudine che la condizione singolare, e vorremmo augurare transitoria, degli emigranti suscita nella Chiesa e in tutti i cristiani.
Quale tenerezza in questa occasione pervade la spirito del Papa, che vi parla, la cui vita — lasciateCelo dire — si è svolta anch'essa sulle vie amplissime d'Oriente e d'Occidente, al servizio della Santa Chiesa, in paesi diversi, spesso a contatto con le sofferenze di esuli e di profughi.
Paolo Vi,
Noi Vi dobbiamo ancora una volta parlare delle sofferenze altrui, confidando nella vostra comprensione e nella vostra generosità. Il Nostro ministero ci obbliga a diventare interpreti di bisogni immensi, che non lasciano tranquilla la coscienza a cui arriva la loro voce: è voce di lamento, gemito di implorazione.
È quella dei Profughi. Profughi e popolazione del Pakistan orientale; sono milioni di esseri umani in condizioni di estrema necessità. Disgrazie su disgrazie si sono rovesciate su quella poverissima gente. Le notizie non mancano, e ci danno cifre spaventose, e ci dicono la sproporzione sconfortante fra l’enormità dei malanni e la inadeguata misura dei soccorsi. Occorre svegliare il senso di umanità del mondo, per salvare la vita a innumerevoli esseri umani sull’orlo della morte. (...) Vengono le vertigini al pensiero che anche altri paesi della terra, vicini e lontani, si trovano in analoghe condizioni...
Francesco,
Il Bambino di Betlemme è fragile, come tutti i neonati. Non sa parlare, eppure è la Parola che si è fatta carne, venuta a cambiare il cuore e la vita degli uomini. Quel Bambino, come ogni bambino, è debole e ha bisogno di essere aiutato e protetto. Anche oggi i bambini hanno bisogno di essere accolti e difesi, fin dal grembo materno.
Purtroppo, in questo mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio, a Dio che si è fatto Bambino.