Ep. 190- Papale papale -"Fortezza"
Francesco,
C’è una parabola, raccontata da Gesù, che ci aiuta a cogliere l’importanza di questo dono. Un seminatore esce a seminare; non tutto il seme che sparge, però, porta frutto. Quello che finisce sulla strada viene mangiato dagli uccelli; quello che cade sul terreno sassoso o in mezzo ai rovi germoglia, ma viene presto seccato dal sole o soffocato dalle spine. Solo quello che finisce sul terreno buono può crescere e dare frutto (cfr Mc 4,3-9 // Mt 13,3-9 // Lc 8,4-8). Come Gesù stesso spiega ai suoi discepoli, questo seminatore rappresenta il Padre, che sparge abbondantemente il seme della sua Parola. Il seme, però, si scontra spesso con l’aridità del nostro cuore e, anche quando viene accolto, rischia di rimanere sterile. Con il dono della fortezza, invece, lo Spirito Santo libera il terreno del nostro cuore, lo libera dal torpore, dalle incertezze e da tutti i timori che possono frenarlo, in modo che la Parola del Signore venga messa in pratica, in modo autentico e gioioso. E’ un vero aiuto questo dono della fortezza, ci dà forza, ci libera anche da tanti impedimenti.
Giovanni Paolo II,
La fortezza è la virtù di chi non scende a compromessi nell’adempimento del proprio dovere.
Questa virtù trova poco spazio in una società in cui è diffusa la pratica sia del cedimento e dell’accomodamento sia della sopraffazione e della durezza nei rapporti economici, sociali e politici. La pavidità e l’aggressività sono due forme di carenza di fortezza che spesso si riscontrano nel comportamento umano, col conseguente ripetersi del rattristante spettacolo di chi è debole e vile con i potenti, spavaldo e prepotente con gli indifesi.
Forse mai come oggi la virtù morale della fortezza ha bisogno di essere sostenuta dall’omonimo dono dello Spirito Santo. Il dono della fortezza è un impulso soprannaturale, che dà vigore all’anima non solo in momenti drammatici come quello del martirio, ma anche nelle abituali condizioni di difficoltà: nella lotta per rimanere coerenti con i propri principi; nella sopportazione di offese e di attacchi ingiusti; nella perseveranza coraggiosa, pur fra incomprensioni ed ostilità, sulla strada della verità e dell’onestà.
Giovanni Paolo I,
« Signore, tu sei la mia roccia, il mio scudo, la mia fortezza, il mio rifugio, la mia lampada, il mio pastore, la mia salvezza. Anche se si accampasse contro di me un esercito, non temerà il mio cuore; e se si leva contro di me la battaglia, anche allora io sono fiducioso ».
Direte: non è esageratamente entusiasta questo salmista? Possibile che, a lui, le cose siano sempre andate tutte diritte? No, non gli sono andate diritte sempre. Sa anche lui, e lo dice, che i cattivi spesso sono fortunati ed i buoni oppressi. Se ne è anche lamentato talvolta con il Signore; è arrivato a dire: « Perché dormi, Signore? Perché taci? Svegliati, ascoltami, Signore ». Ma la sua speranza è rimasta: ferma, incrollabile. A lui e a tutti gli speranti si può applicare quello che ha detto S. Paolo di Abramo: « credette sperando contro ogni speranza ».
Paolo VI,
Sì, fortezza, È forse legittima la concezione d’un cristianesimo debole? d’un cristianesimo privo di fermezza nelle sue convinzioni, agnostico, indifferente, volubile, opportunista, vile? d’un cristianesimo timido e pauroso di se stesso? manovrato dal rispetto umano? È forse autentico e nuovo un cristianesimo, che nella pratica, nel confronto con l’ambiente circostante è disponibile ad ogni conformismo, e che ha soprattutto la tacita ansia d’evitare fastidi, critiche, ironie, e il manifesto desiderio di profittare d’ogni occasione per fare bella figura, o guadagnare vantaggi, risparmiare guai e avanzare nella carriera?
Dove è finita l’antica educazione al carattere personale, al coraggio morale, alla coerenza sociale? al senso del dovere? della responsabilità?
Ricordiamolo bene: un cristiano, un cattolico specialmente, deve essere forte.