Ep. 16 - Papale papale - "Denaro"
Francesco,
La Bibbia non demonizza il denaro, ma invita a farne l’uso giusto, a non restarne schiavi, a non idolatrarlo. E non è facile usare bene il denaro, non è facile. (...) L’episodio evangelico di Zaccheo ricorda la conversione di un uomo che non solo riconosce il proprio peccato di aver defraudato la povera gente, ma comprende soprattutto che la logica dell’accumulare per sé lo ha isolato dagli altri. Per questo restituisce e condivide. È stato toccato nel cuore dall’amore gratuito di Gesù che ha voluto andare proprio a casa sua. E allora dichiara apertamente ciò che farà: la metà di ciò che possiede la darà ai poveri e restituirà quattro volte tanto a chi ha derubato. Restituisce con interessi generosi! In questo modo dà trasparenza al denaro che passa tra le sue mani. Il denaro trasparente: questo è il fine.
Benedetto XVI
Raccontando la parabola di un amministratore disonesto ma assai scaltro, Cristo insegna ai suoi discepoli quale è il modo migliore di utilizzare il denaro e le ricchezze materiali, e cioè condividerli con i poveri procurandosi così la loro amicizia, in vista del Regno dei cieli. "Procuratevi amici con la disonesta ricchezza – dice Gesù – perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne" (Lc 16,9). Il denaro non è "disonesto" in se stesso, ma più di ogni altra cosa può chiudere l’uomo in un cieco egoismo. Si tratta dunque di operare una sorta di "conversione" dei beni economici: invece di usarli solo per interesse proprio, occorre pensare anche alle necessità dei poveri, imitando Cristo stesso, il quale – scrive san Paolo – "da ricco che era si fece povero per arricchire noi con la sua povertà" (2 Cor 8,9). Sembra un paradosso: Cristo non ci ha arricchiti con la sua ricchezza, ma con la sua povertà, cioè con il suo amore che lo ha spinto a darsi totalmente a noi.
Giovanni Paolo I
Sta scritto: « Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte » (6). Quel « tutto » ripetuto e piegato alla pratica con tanta insistenza è davvero la bandiera del massimalismo cristiano. Ed è giusto: è troppo grande Dio, troppo Egli merita da noi, perché gli si possano gettare, come ad un povero Lazzaro, appena poche briciole del nostro tempo e del nostro cuore. Egli è bene infinito e sarà nostra felicità eterna: i denari, i piaceri, le fortune di questo mondo, al suo confronto, sono appena frammenti di bene e momenti fugaci di felicità.
Giovanni Paolo II,
A questa consapevolezza viene incontro la parabola dei talenti . Il “talento” era un denaro; pertanto la parabola parla indirettamente di ogni ricchezza che Dio-Creatore “investe” in ciascuno di noi. Ci troviamo, possiamo dire, nel campo dell’economia; l’analogia dei rapporti economici è soffusa a tutta la parabola. Si vede questo specialmente nel caso del terzo servo, che “nascose” sotterra il suo talento. Quando si presenta dinanzi al padrone, lo sente pronunciare la seguente sentenza: “Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse” (Mt 25, 27).
Benché la parabola si serva dei concetti di “denaro”, di “interesse” e anche di “banchieri”, tuttavia tutti sentiamo chiaramente che l’unico ed essenziale valore in questa economia evangelica è l’uomo stesso.