Tutta una Chiesa dentro a una foto
Salvatore Cernuzio – Inviato a Ulaanbaatar
Il ronzio del drone, il coro crescente di “Viva el Papa”, fomentato da suore di Madre Teresa e sacerdoti affacciati al primo piano, la mano di Francesco che si alza in segno di saluto ed eccolo qua, un solo scatto che scrive un intero capitolo per la Chiesa di un Paese. Lo avevano anticipato nei giorni scorsi alcuni missionari che l’incontro di oggi, 2 settembre, del Papa con il clero mongolo nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo – secondo appuntamento pubblico del viaggio di Francesco in Mongolia - si sarebbe concluso con una fotografia del Successore di Pietro circondato dai 1500 battezzati che compongono attualmente il “piccolo gregge” della Mongolia. E così è stato.
Consacrati e fedeli
“L’unica Chiesa che entra tutta in una foto. Straordinario!”, diceva ieri a Pope padre Ernesto Viscardi, missionario della Consolata da diciannove anni in Mongolia. Sono stati lui e gli altri 76 missionari, catechisti, religiosi, suore salesiane e missionarie della Carità i primi a mettersi in posa, salendo al secondo piano di questa cattedrale in mattoni rossi dall’inusuale forma di una ger, le tende dei nomadi, ed elevata su due piani. Affacciati dalla balconata hanno accompagnato i fedeli sottostanti, divisi in due file, nei cori in onore del Pontefice.
Uno scatto che immortala la prima visita di un Papa in Mongolia
Francesco è arrivato dopo diversi minuti, appena terminato il saluto ad ognuno dei circa 500 consacrati e consacrate presenti nella cattedrale. In sedia a rotelle, si è posizionato al centro della rampa e si è girato per salutare i fedeli, poi ha rivolto lo sguardo verso il drone. Con la luce naturale di quel cielo della Mongolia che gli abitanti descrivono “sempre blu”, quindi la fotografia che immortala la prima visita di un Papa nel Paese centroasiatico e, al contempo, ritrae perfettamente le esigue dimensioni di una piccola Chiesa nata dalle macerie del comunismo dopo gli anni ’90 e che ora si muove verso il futuro. Dimensioni esigue, certo, che sono tuttavia una “risorsa”, come ha detto il Papa nel suo discorso in cattedrale.
L'incontro con l'anziana che ha trovato una statua della Madonna nella spazzatura
Ai lati del cortile, ad assistere al momento c’erano intanto i fedeli provenienti da Paesi vicini come Vietnam, Thailandia, Giappone e anche Cina continentale. Circa 200 quest’ultimi, presenti già questa mattina in Piazza Sükhbaatar e venuti in Mongolia, alcuni non senza difficoltà – come racconta un gruppo di Shaanxi -, a rendere omaggio al Papa. Con le bandiere, sia dei propri Paesi che quelle realizzate per l’occasione, hanno salutato Papa Francesco al suo giro in golf car, preceduto dall’incontro riservato dentro una ger sistemata davanti all’edificio con la signora Tsetsege, l’anziana che quindici anni fa ha trovato in una discarica di Ulaanbaator una statua in legno della Madonna. L’ha portata in Chiesa dove è stata intronizzata e venerata come Madre del Cielo. Il Papa, reggendosi al bastone, ha voluto fare il suo ingresso nella tenda bianca da solo. È rimasto in piedi a colloquio per diversi minuti con la donna, piccola, con i capelli corti e gli abiti tradizionali, che appariva ancora più minuta con i suoi grandi stivali in pelle. Francesco l'ha benedetta sulla fronte, poi, ancora sorretto dal bastone, è uscito dalla khalga, la porta della ger sempre rivolta a sud per il calore e la luce e sempre aperta perché chiunque ne abbia bisogno vi possa entrare. Tsetsege l’ha seguito e si sono salutati con simpatia.
Una Chiesa piccola ma presente
A salutare il Papa e poi ascoltarlo attraverso i maxi schermi fuori dalla cattedrale c'era anche don Samuele Depredi, italiano di Trento, da sette anni in missione con il Cammino Neocatecumenale in Mongolia ma anche in Cambogia, Giappone e Vietnam. Parla di “sorpresa incredibile” per questa visita del Papa che, afferma, è un incoraggiamento per quanti lavorano in un territorio dove l’annuncio cristiano sembra non fiorire, lasciando alla Chiesa solo il ruolo di punto di riferimento sociale. “In questi sette anni a contatto con realtà Chiesa mongola non nascondo che tante volte le difficoltà scoraggiano, ogni volta che vengo e poi vado dico: mamma mia, Signore come si fa? Come si fa ad annunciare il Vangelo in una terra così, iniziando praticamente da zero? E il Papa è venuto qui come a voler dire: qui c’è la Chiesa, qui c’è la presenza di Gesù Cristo”. “Ho pensato – aggiunge il sacerdote – a quando Gesù è nato a Betlemme: tutta la presenza di Dio era lì ma nascosta. È come se il Papa volesse dire questo, c’è ma è nascosta”.
Annuncio ai lontani
Quanto alla popolazione non cattolica mongola, don Samuele dice: “Credo che il popolo sia onorato da questa visita. Non so quanto possano comprenderne il valore spirituale ma sanno che il Papa è un uomo di pace, che viene con amore per questa nazione che nel corso della sua storia ha avuto momenti gloriosi e momenti di grande umiliazione. Si sentono riconosciuti e amati”. Il sacerdote esprime un suo personale auspicio anche per quel 40% di persone in Mongolia che dice di non credere in niente: “Spero che la presenza del Santo Padre possa accendere il cuore di non ha mai avuto modo di entrare in contatto con questa realtà così piccola della Chiesa e magari possa sentire una chiamata da parte di Dio ad avvicinarsi al suo amore e alla sua misericordia per tutti. Magari possano un giorno sapere che Cristo è risorto e ha dato la vita per tutti, per darci una pace immensa”.
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