La poesia dell’Amazzonia in Piazza San Pietro
di Giampaolo Mattei
Poetessa anche nei gesti e nei sorrisi, Ana Varela Tafur in piazza San Pietro confida di avere «uno sguardo di stupore e di gratitudine» che, nonostante le tragedie che colpiscono la sua Amazzonia, si apre alla speranza. Forse è il potere della poesia che non è utopia ma realismo, fa presente.
Chinando delicatamente il capo, con umile imbarazzo, si dice «meravigliata nel profondo del cuore» che la sua poesia Timareo (1950) sia la prima citata da Papa Francesco nell’esortazione apostolica Querida Amazonia. Non c’è traccia di orgoglio, di vanto nel suo volto e nelle sue parole.
Varela, cilena, 59 anni, è una scrittrice «poeta sociale», secondo l’espressione coniata proprio da Francesco. I tratti della sua poetica — riconosce — sono il radicamento, la memoria, l’appartenenza, l’ascolto. Orgogliosa di essere della piccola etnia uitoto, Varela vive la poesia come «un pianeta di alberi vivi», una rivendicazione di memoria dei popoli originari dell’Amazzonia e delle loro tradizioni.
Incontrando stamani Papa Francesco, non ha voluto esprimere «solo» una pur significativa «voce poetica personale». Perché, insiste, gli artigiani della poesia che si ispirano all’Amazzonia danno voce, oggi più che mai, a ogni persona che patisce ingiustizie e soffre per «i cambiamenti drammatici e rapidi».
Nella Querida Amazonia il Pontefice fa ricorso ai versi poetici della Varela già nel primo capitolo (Un sogno sociale). Denunciando «ingiustizia e crimine», tra «il taglio di legname e l’industria mineraria», che hanno scacciato e assediato «i popoli indigeni, rivieraschi e di origine africana», provocando «una protesta che grida al cielo». Per dare ancora più forza a questa denuncia il Papa, nell’esortazione apostolica, ha rilanciato proprio l’efficace poesia di Varela: «Molti sono gli alberi / dove abitò la tortura / e vasti i boschi / comprati tra mille uccisioni». (Timareo, in Lo que no veo en visiones, Lima 1992).
Nonna Ana la schiava e la nipote Ana la poetessa
Timareo è l’isolotto peruviano sul Rio delle Amazzoni dove oltre un secolo fa trovarono riparo la nonna di Varela — si chiamava anch’essa Ana — e quanto restava dei popoli indigeni ridotti in schiavitù e massacrati dai “padroni”. Una tragedia di proporzioni enormi, ma sistematicamente ignorata. Meglio, non raccontata. Il «perché» è tristemente semplice e lo spiega Varela: erano «donne e uomini analfabeti». Detta poeticamente suona così: «A Timareo non conosciamo l’alfabeto e i suoi scritti / e nessuno ci registra nelle pagine dei libri ufficiali».
Oggi “Ana la poetessa”, nipote di “Ana la schiava”, usa la parola per denunciare. Ricordando. Aveva 14 anni quando ha iniziato a scrivere e adesso insegna a Berkeley, negli Stati Uniti d’America, senza dimenticare di essere nata a Iquitos, “capitale” isolata dell’Amazzonia peruviana, nella giungla e senza strade.
L’abbraccio con le persone disabili
Particolarmente significativo l’abbraccio di Papa Francesco con le 250 persone con disabilità, sulla sedia a rotelle o su lettini, venute dalla Germania con il pellegrinaggio per i malati organizzato dall’Ordine di Malta. Hanno trovato posto sul sagrato, alla sinistra del Pontefice che ha voluto salutare tutti, a uno a uno.
Lunedì il gruppo è stato a San Paolo, ieri in Vaticano (ai Giardini, ai Musei e poi in San Pietro), nel pomeriggio di oggi sono a San Lorenzo fuori le mura e giovedì al Laterano. Venerdì il rientro in Germania.
E dalla Germania è arrivato stamani, in piazza San Pietro, un folto pellegrinaggio da Colonia, tra loro duemila chierichetti e il tradizionale gruppo musicale, guidato dal cardinale arcivescovo Rainer Maria Woelki.
Oggi tartufi neri a pranzo nella mensa Caritas
Oggi nella mensa della Caritas romana a Colle Oppio gli ospiti hanno mangiato il prelibato tartufo nero. «Non è che le persone che vivono in povertà non hanno diritto al cibo di eccellenza» dice Riccardo Germani, a nome dell’Associazione nazionale tartufai italiani. Durante l’udienza il Papa ha benedetto i tartufi che sono stati poi subito portati alla mensa della Caritas.
«Un gesto che non è una novità: alla stazione centrale di Milano ormai abitualmente, insieme ad alcuni volontari, facciamo questo servizio» racconta Germani. E, aggiunge, a Roma nel prossimo fine settimana si svolgerà una iniziativa che coinvolgerà, nel parco degli Acquedotti trasformato in “tartufaia”, anche le persone con disabilità.
Sono 61 gli ucraini, fuggiti dalla follia della guerra, accolti dalla diocesi di Teramo-Atri. E stamani sono venuti dal Papa con il vescovo Lorenzo Leuzzi e con i responsabili della Caritas diocesana — il direttore don Enzo Manes e il vice direttore Anna D’Eustachio — a presentare questo stile di accoglienza fraterna. Messo in campo, con il Consorzio solidarietà aprutina, per offrire «corsi di italiano, doposcuola per ragazzi e attività ricreative del campus estivo, creando legami di stima e amicizia».
Quei sei ragazzi con sindrome di Down sulle Harley-Davidson
Un incoraggiamento particolare il Papa ha rivolto ai sei ragazzi con sindrome di Down che hanno fatto il «giro d’Italia in moto» — la “Route21 Chromosome on the Road” — da Palermo (partenza il 3 settembre) a Roma, passando per Catania, Crotone, Bari, Venezia, Trieste, Verona, Torino, Genova, Cagliari, Arezzo, Civitanova Marche e Amatrice.
Protagonisti di “Route21”, promossa dall’associazione veneta Diversa-mente, «sono sei ragazzi che, in una staffetta, sono saliti su una rombante e affascinante Harley-Davidson», guidata dal vice presidente dell’associazione, Gian Pietro Papasodero. «Per noi non esiste né il diverso né la disabilità, ci sono soltanto persone che, attraverso il viaggio, costruiscono relazioni e realizzano sogni» dice. L’obiettivo «è sfidare l’omologazione che incasella i ragazzi con sindrome di Down e lasciar emergere il carattere e le potenzialità di ciascuno».
«Il nome dell’iniziativa è emblematico» conclude. Infatti «richiama il “mito” della Route 66, la celebre autostrada che attraversa gli Stati Uniti da est a ovest. Ma con una connotazione particolare: il numero 21 che fa riferimento a quel cromosoma in più che segna la sindrome di Down».
I cento anni di suor Filomena e i campioni di golf della Ryder Cup
Vigilia di compleanno speciale con il Papa per suor Filomena Gisoldi, che domani festeggia cento anni. Religiosa della congregazione delle Suore francescane dei Sacri Cuori, da 70 anni vive nella basilica di Capodimonte a Napoli, secondo il carisma «avere cura, accompagnare, servire» e davanti all’immagine della Madonna del Buon consiglio.
Accanto alla festeggiata, in piazza San Pietro, la superiora generale, madre Amabile Galatà, e le consorelle. Suor Filomena — che risponde con un dolcissimo sorriso a ogni augurio e, anzitutto, a quello di Francesco — ha perso la mamma nel terremoto del 1930. E, racconta la superiora, ha vissuto la sua vocazione nella congregazione delle suore Ancelle della Chiesa che, nel 1996, si è fusa appunto con quella delle Suore francescane dei Sacri Cuori, la cui casa generalizia è a Capua.
Significativo, inoltre, l’incontro del Papa con alcune persone transessuali, accompagnate da suor Genèvieve Jeanningros, religiosa delle piccole sorelle di Gesù, che con la parrocchia di Torvaianica, sul litorale romano, sta portando avanti uno stile di accoglienza e di ascolto.
Prima dell’udienza generale, nella galleria dell’Aula Paolo vi il Papa ha incontrato i rappresentanti della Ryder Cup 2023, la più prestigiosa manifestazione internazionale di golf, svoltasi a Roma.
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