Evangelii gaudium e l’essenziale della fede
ANDREA TORNIELLI
Davanti alle tremila persone che nel tardo pomeriggio di sabato si sono radunate di fronte al santuario di Ta’ Pinu nell’isola maltese di Gozo Papa Francesco ha parlato dell’essenziale della fede. E ha colpito la sua scelta di aggiungere al testo preparato la frase: “La gioia della Chiesa è evangelizzare”. Francesco non l’ha ripetuta una volta soltanto, ma ben sette volte. Alla fine di ogni paragrafo ripeteva che questa è la gioia della Chiesa, evangelizzare. È l’, l’esortazione del novembre 2013, che rappresenta la road map del suo pontificato.
Tornare alle origini, ha spiegato Francesco, non è un vagheggiamento di improbabili tuffi in un passato remotissimo, né l’idealizzazione di epoche che non torneranno. Tornare alle origini significa tornare all’essenziale, cioè recuperare lo spirito della prima comunità cristiana, ritornare al cuore della fede. E il cuore della fede è la relazione con Gesù e l’annuncio del suo Vangelo al mondo intero. Questo, soltanto questo, è l’essenziale.
Dunque la preoccupazione della Chiesa non può e non dovrebbe essere quella del prestigio della comunità e dei suoi ministri, non può e non dovrebbe essere la sua influenza sociale, cioè il “contare”, l’essere “rilevanti” sulla scena del mondo, nella società, nei luoghi di potere. Non può e non dovrebbe la ricerca di spazi e di attenzioni. Non può essere nemmeno la ricercatezza del culto, le cerimonie perfette che rischiano di diventare quelle che Joseph Ratzinger definì “un teatro vuoto”. L’inquietudine per l’annuncio e la testimonianza, il tentare ogni strada possibile per far sì che gli uomini e le donne del nostro tempo incontrino Gesù vivo, questo è ciò che muoveva i discepoli del Nazareno e che muove oggi chi testimonia il Vangelo. Perché la gioia della Chiesa è evangelizzare, cioè diffondere la gioia del messaggio cristiano.
È significativo che nove anni dopo la sua elezione a Vescovo di Roma, Francesco torni ancora ad Evangelii gaudium, il suo messaggio più importante e meno compreso. Un messaggio che ha incontrato resistenze ma che ha anche rischiato e rischia di essere trasformato in slogan da chi ripete di accoglierlo. Così anche l’annuncio del Vangelo finisce per essere ingabbiato negli apparati, per essere incasellato nelle strutture e nelle strategie di marketing religioso. Anche il percorso sinodale che il Papa ha fortemente voluto per tutta la Chiesa non è esente da questo rischio, quello di venire “normalizzato” nelle burocrazie ecclesiastiche invece che essere rischio, apertura, ascolto di tutti per un rinnovato slancio missionario.
C’è una cartina di tornasole, ha spiegato Francesco, per verificare quanto effettivamente la Chiesa è permeata dallo spirito del Vangelo. Ed è l’accoglienza, il gratuito farsi carico della sofferenza. Ai fedeli di Malta, isola “porto sicuro” lungo i secoli, e approdo dove san Paolo giunse e dove i primi cristiani vennero trattati “con rara umanità”, il Papa ha ricordato: “Non possiamo accoglierci solo tra di noi, all’ombra delle nostre belle Chiese, mentre fuori tanti fratelli e sorelle soffrono e sono crocifissi dal dolore, dalla miseria, dalla povertà, e dalla violenza”. Parole che riecheggiano quelle del padre della Chiesa san Giovanni Crisostomo, che uno dei suoi celebri sermoni, affermava: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità”. Oggi, come duemila anni fa, la stessa cartina di tornasole.
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