Assisi, il rifugiato Abrhaley: “Grato al Papa, tra i pochi a impegnarsi per chi soffre”
Salvatore Cernuzio – Assisi
Una mina esplosa in faccia da bambino gli ha rubato la vista, ma non la voglia di vivere, di studiare, di crescere e cambiare. Abrhaley Tesfagergs Habte ha 31 anni e da quando ne aveva 5 è completamente cieco a causa di una delle tante mine antiuomo disseminate nel terreno dell’Eritrea durante la “brutta guerra” di indipendenza con l’Etiopia. Sul volto, coperto da occhiali scuri e mascherina, Abrhaley porta cicatrici ben visibili sulla pelle bruna. Le altre, invisibili, sono incise invece nella sua anima, anzitutto il fatto di aver dovuto lasciare la sua famiglia e fuggire dalla sua terra, dove aveva conseguito due lauree. L’ha fatto, anzi, ha dovuto farlo - come racconta a Pope nel giorno delle visita del Papa ad Assisi per l'abbraccio ai poveri - a motivo della sua “fede cristiana”: “Era in atto una persecuzione... Avrei rischiato di subire violenze o di essere arrestato come accaduto ad altre persone che conosco, ma sono scappato prima”.
La fuga, i campi profughi, i corridoi umanitari
È andato via con dolore, Abrhaley, salutando per sempre i genitori che - dice abbassando la testa e incrinando la voce - “ora non ci sono più”. È partito da solo, nonostante la disabilità, ed è rimasto alcune settimane in Sudan per poi raggiungere l’Etiopia. Lì ha cercato di avere “una vita indipendente e produttiva”, ma è stato costretto ugualmente a entrare in uno dei tanti campi profughi: “Uno dei periodi più difficili della mia vita all'interno di un luogo di disperazione”. Grazie ai corridoi umanitari organizzati da Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche, Tavola Valdese e Caritas, è giunto infine in Italia insieme ad altri 23 connazionali. Da lì, “un nuovo inizio”.
L'abbraccio con il Papa
La prima tappa è stata Assisi, dove il ragazzo è stato accolto dalla Caritas diocesana guidata da Rossana Galiandro, poi si è trasferito a Bastia Umbra dove tuttora vive. E nel frattempo si è iscritto al corso di Lingua e cultura italiana all’Università degli stranieri di Perugia. È appassionato di programmazione digitale: “Ho tanti progetti”, confida sorridendo, mentre è in fila per un tampone in un punto allestito dalla Caritas assisiate alle spalle della basilica di Santa Maria degli Angeli. Proprio in basilica il giovane rifugiato oggi incontra Papa Francesco e si unisce all’abbraccio del Vescovo di Roma con altre 500 persone in stato di povertà provenienti dall'Italia e dall’Europa.
Emozione e commozione
Un momento davvero unico per gente come Abrhaley. “Sono emozionato, tanto emozionato”, spiega agitando il bastone. È emozionato più di quando nel 2019 ha dovuto raccontare la sua vicenda alla Camera dei Deputati e non solo perché è la prima volta che incontra Francesco, “uomo che ammiro e rispetto”, ma perché sarà tra coloro che saluteranno personalmente il Papa, al quale consegnerà il bastone del Pellegrino, simbolo di tutti i fedeli che nel corso dei secoli si sono messi sulle orme del Poverello. “È solo un saluto, mica una testimonianza”, si schermisce. Ma la sua esistenza e il suo sorriso, nonostante le difficoltà che ha vissuto e vive quotidianamente, sono essi stessi una testimonianza.
Il grazie a Francesco
In questi pochi istanti, Abrhaley dice di voler “ringraziare il Papa per il bene di cui abbiamo beneficiato io e altri. Il bene, inteso come il fatto che sta lavorando veramente per le persone che soffrono”. “È un privilegio per me incontrarlo di persona dopo aver sentito nei media le sue parole”, spiega il ragazzo. Una frase del Pontefice argentino, soprattutto, gli è rimasta incisa nella mente: “Ci sono due tipi di persone: una è il tuo fratello di fede, l’altro è il tuo simile nella umanità”. “L’ho detta a parole mie ma questa per me è la dimostrazione della sua sincerità, della sua umanità e della sua fede cristiana. In questo momento dove tanti usano la loro posizione per accumulare ricchezza e potere, il Papa sta lavorando per chi è ai margini. Davvero sta praticando le parole del Signore: ama il prossimo tuo come te stesso”.
Un'Italia che accoglie
Questo amore Abrhaley Tesfagergs Habte assicura di averlo ricevuto dal primo momento in cui ha messo piede in Italia: “Qui mi sono sentito accolto. Tanto accolto. Sono tutti molto buoni con me, hanno sempre dato il meglio per farmi sentire a casa. Abito solo ma mi aiutano tutti, tutti sono i miei ‘vicini’. Se mi serve una mano, mi viene data volentieri”. Con la sua storia il giovane rifugiato mostra dunque il volto di un Paese che sa essere accogliente e generoso.
La tristezza per la "sua" Eritrea
Lui gioisce di questo, mentre dice di sentirsi “triste” per quello che sta succedendo nella “sua” Eritrea: “Spero che possa arrivare presto un cambiamento. Il popolo ha sofferto per troppo tempo, la guerra è durata troppi anni, la popolazione si sente oppressa. Aspetto con ansia un momento di ‘riposo’ per la mia gente”.
Scoppia a ridere, il ragazzo, quando alla fine di questo colloquio capisce che la sua storia e la sua voce saranno trasmesse su Pope e Radio Vaticana: “Wow!”, esclama, spiegando che il programma in tigrino della nostra emittente è stato compagno di viaggio in tanti momenti della sua vita: “È molto popolare, una radio che ho ascoltato spesso perché in Eritrea per anni il governo non ha permesso radio religiose, perciò c’era poca opportunità di ascoltare qualcuno che parlasse del Vangelo. La Radio Vaticana l'ha fatto, portando anche nel nostro Paese la voce del Papa. Perciò... grazie”.
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