La croce, da simbolo identitario a sorgente di vita nuova
ANDREA TORNIELLI
Che cos’è la croce? Un oggetto di devozione, un simbolo identitario culturale da brandire, una bandiera da innalzare? Nel giorno in cui la Chiesa celebra l’Esaltazione della Croce Papa Francesco da Pre?ov chiede ai cristiani di non ridurla mai a tutto questo, tanto meno a simbolo politico o di rilevanza religiosa e sociale. Le strumentalizzazioni, sempre presenti, sono in qualche modo facili da smascherare perché evidenti. Più difficile è accogliere la sfida per ciascuno di noi contenuta nelle parole del Papa. Perché anche noi rischiamo di non accettare la logica della croce, di non accettare che “Dio ci salvi lasciando che si scateni su di sé il male del mondo”. Lo accettiamo a parole, il Dio debole e crocifisso che si abbassa e si annienta sacrificandosi, ma in fondo sogniamo un dio trionfante e un cristianesimo “da vincitori”, preoccupato di contare sulla scena del mondo, preoccupato della sua rilevanza sociale, dei riconoscimenti, degli onori e della gloria che offre il mondo.
“È una grande tentazione”, ha detto Francesco e lo è perché così facendo il cristianesimo diventa mondano e sterile.
Come guardare dunque alla croce secondo la logica di Dio? Il Papa ricorda che alcuni santi l’hanno paragonata a un libro che per essere conosciuto, va aperto e letto. Non basta dargli un’occhiata quando si acquista e poi metterlo in bella mostra nelle nostre case. Non si contano i crocifissi nelle nostre piazze e chiese, non si contano i crocifissi che portiamo al collo o in tasca. Ma non servono se non fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, se non ci lasciamo commuovere da Lui guardando le sue piaghe aperte per la nostra salvezza. Non servono se non accettiamo la croce per ciò che realmente è.
“Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo – ha detto Francesco - non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita. Il testimone della croce non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente. Il testimone della croce non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto”.
Il 22 marzo 1988, durante uno dei dibattiti sul crocifisso nelle scuole, la scrittrice Natalia Ginzburg scrisse sul quotidiano L’Unità un articolo significativo:
“Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace... Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo”. Uno sguardo capace di cogliere l’essenziale.
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