Grazie a una mano materna
Laura De Luca – Città del Vaticano
Nella festa della Madonna di Fatima, il 13 maggio 1981, si compì il drammatico attentato da cui però Giovanni Paolo II riuscì ad avere salva la vita. Un misterioso, invisibile legame unisce il terzo segreto, i drammatici eventi del XX secolo, la parabola spirituale e storica del Papa che visse sulla sua pelle le peggiori dittature del Novecento, restando però incrollabile nella fede…
Impietriti, come se fossimo presenti, abbiamo riudito gli spari del tragico attentato in Piazza San Pietro del 13 maggio 1981.
Così Papa , al termine della proiezione di un film dedicato alla vita di Karol Wojtyla. Impossibile non rivivere quell’evento, anche semplicemente nella memoria, senza un analogo impietrimento. Che si coglie anche nelle sfumature della voce dei cronisti di allora. Ecco per esempio padre Roberto Tucci.
Qui vi parla il padre Tucci dai microfoni della Radio Vaticana in piazza san Pietro. Come il collega Nardacci vi ha informato, verso le 17.17 si è sentita una serie di spari in rapida successione e si è visto il Santo Padre vacillare e accasciarsi tra le braccia del segretario particolare don Stansilao Dziwisz e del signor Angelo Gugel…
Qualcuno avrebbe dunque voluto spegnerla, la voce del Papa. E invece, solo cinque giorni dopo, come sempre dai microfoni della Radio Vaticana, alle 12 in punto, per la quella voce tornò a farsi sentire…
Carissimi fratelli e sorelle, So che in questi giorni e specialmente in quest’ora del Regina Coeli siete uniti con me. Vi ringrazio commosso per le vostre preghiere e tutti vi benedico. Sono particolarmente vicino alle due persone ferite insieme con me. Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato. Unito a Cristo, Sacerdote e Vittima, offro le mie sofferenze per la Chiesa e per il mondo. A Te Maria ripeto: “Totus tuus ego sum”.
Debole la voce, fortissima l’intenzione spirituale. E tra i primi pensieri del Papa ancora convalescente, il perdono. Tornavano intanto, nelle coscienze dei fedeli, le prime frasi captate dalla radio nell’immediatezza dei fatti. Così dalla voce del radiocronista Benedetto Nardacci:
Come avrete sentito i vescovi presenti all’udienza, i prelati che erano presenti all’udienza hanno invitato la folla a pregare per la salute del Papa. Sembra che il Santo Padre sia stato raggiunto almeno da un proiettile all’addome. Mi pare che quelle pantere dei carabinieri e della polizia scortassero l’ambulanza che, vi avevo detto prima, era entrata in Vaticano… L’ambulanza dovrebbe aver preso a bordo il Santo Padre e dovrebbe essere scortata da quelle gazzelle, da quelle pantere delle forze dell’ordine verso il Policlinico Gemelli. Così mi pare, ma non è che io possa confermare questa notizia, io mi trovo in piazza…
Dell’attentato, Giovanni Paolo II parlò ancora al della domenica successiva, il 24 maggio 1981, sempre dal letto del Policlinico Gemelli. E il pensiero spirituale stavolta portò con sé una dedica a una precisa categoria di persone….
Quando, all’indomani della mia elezione alla Cattedra di Pietro, venni per una visita al Policlinico Gemelli, dissi di voler “appoggiare il mio ministero papale soprattutto su quelli che soffrono”. La Provvidenza ha disposto che al Policlinico Gemelli ritornassi da malato. Riaffermo ora la medesima convinzione di allora: la sofferenza, accettata in unione con Cristo sofferente, ha una sua efficacia impareggiabile per l’attuazione del disegno divino della salvezza. (…) Invito tutti gli ammalati ad unirsi con me nell’offerta a Cristo dei loro patimenti per il bene della Chiesa e dell’umanità. Maria santissima ci sia di sostegno e di conforto. Estendo poi il mio cordiale saluto a tutti coloro che sono uniti con me nella preghiera e a quanti in questi giorni mi hanno fatto pervenire la testimonianza del loro affetto e, mentre li ringrazio di questa spirituale vicinanza, li assicuro del mio ricordo nel Signore.
Un anno dopo. Si era già delineato il filo rosso che legava l’attentato del 13 maggio con il terzo segreto di Fatima…
…mi recherò, per grazia di Dio, a Fatima il 13 maggio, nel contesto della visita alla Chiesa in Portogallo. Desidero in questo modo rispondere al cortese invito rivoltomi dal Presidente della Repubblica a nome della Nazione, e dal Cardinale e dall’Episcopato della Chiesa in quel nobile Paese di grandi tradizioni cattoliche. Approfittando di tale invito, desidero soprattutto rispondere al bisogno del cuore, che mi spinge a recarmi, nel primo anniversario dell’attentato alla mia persona, ai piedi della Madre di Dio a Fatima, per ringraziarla del suo intervento per la salvezza della mia vita e per il ricupero della salute.
Spiegherà questo nesso fra l’attentato, il terzo segreto di Fatima e la mano protettrice di Maria , in occasione del viaggio di Giovanni Paolo II in Portogallo dell’anno 2000. Durante il Grande Giubileo, il Papa sarà a Fatima per beatificare Francisco e Giacinta, i due veggenti morti bambini, mentre Lucia dos Santos è ancora in vita…
Dopo l'attentato del 13 maggio 1981, a Sua Santità apparve chiaro che era stata "una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola", permettendo al "Papa agonizzante" di fermarsi "sulla soglia della morte". In occasione di un passaggio da Roma dell'allora Vescovo di Leiria-Fátima, il Papa decise di consegnargli la pallottola, che era rimasta nella jeep dopo l'attentato, perché fosse custodita nel Santuario. Per iniziativa del Vescovo essa fu poi incastonata nella corona della statua della Madonna di Fatima.
Nel suo viaggio in Portogallo di dieci anni dopo, ricorda l’evento durante la visita alla cappellina delle apparizioni e in questi termini si rivolge a Maria…
Il Venerabile Papa Giovanni Paolo II,
che ti ha visitato per tre volte, qui a Fatima,
e ha ringraziato quella «mano invisibile»
che lo ha liberato dalla morte
nell’attentato del tredici maggio,
in Piazza San Pietro, quasi trenta anni fa,
ha voluto offrire al Santuario di Fatima
un proiettile che lo ha ferito gravemente
e fu posto nella tua corona di Regina della Pace.
È di profonda consolazione
sapere che tu sei coronata
non soltanto con l’argento
e l’oro delle nostre gioie e speranze,
ma anche con il «proiettile»
delle nostre preoccupazioni e sofferenze.
Ma la parola chiave di tutta questa vicenda, riassuntiva di tanti conflitti e persecuzioni del XX secolo, è ancora una volta lo stesso Giovanni Paolo II a ripeterla. Visita a Rebibbia del 27 dicembre 1983. In quella occasione in cui celebrerà Messa per i detenuti e le detenute incontrerà anche il suo attentatore. Ma le parole di quell’incontro resteranno segrete. Non così il fatto di quell’incontro. Di quel perdono
Visita a Rebibbia, incontro con le detenute:
Oggi ho potuto incontrare anche la persona che voi tutte e tutti conoscete, di nome, Ali Agca, che nell’anno 1981 , il 13 maggio, ha attentato alla mia vita. Ma la Provvidenza ha condotto le cose in una maniera sua, direi eccezionale, direi anche meravigliosa. Penso che anche l’incontro di oggi, nel contesto nella cornice dell’Anno della Redenzione, è provvidenziale. Non è stato pianificato, programmato: è venuto. E il signore mi ha dato, come penso anche a lui, la grazia di poterci incontrare da uomini e da fratelli, perché tutti siamo fratelli e tutte le vicende della nostra vita devono confermare quella fratellanza che proviene dal fatto che Dio è nostro padre…
Ascolta la puntata integrale de “Le voci dei Papi” in onda domenica 9 maggio su Radio Vaticana
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