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Francesco: anche io mi inginocchio sulle strade del Myanmar

Al termine dell'udienza generale torna a levarsi forte e accorata la voce del Papa per il Paese asiatico che un mese e mezzo dopo il golpe militare, è in preda alla repressione ed alla violenza con un bilancio di almeno 150 morti. "Anche io - afferma Francesco - stendo le mie braccia e dico: cessi la violenza"

Gabriella Ceraso e Andrea De Angelis - Città del Vaticano 

Prevalga il dialogo sulla repressione e l'armonia sulla discordia e la comunità internazionale fornisca l'aiuto necessario perchè le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate nella violenza. Così solo pochi giorni fa, il 3 marzo scorso, in occasione dell'udienza generale il Papa rivolgeva pensiero e preoccupazioni al Myanmar da cui continuano a giungere drammatiche notizie col numero delle vittime in aumento. Per questo oggi, al termine della catechesi dell', il tono di Francesco si fa più accorato e colmo di "tristezza" ricordando l'immagine potente di suor Ann Nu Thawng, la religiosa cattolica saveriana inginocchiata nei giorni scorsi di fronte agli agenti per salvare i giovani durante le manifestazioni pacifiche pro democrazia:

Ancora una volta e con tanta tristezza sento l’urgenza di evocare la drammatica situazione in Myanmar dove tante persone soprattutto giovani stanno perdendo la vita per offrire speranza al loro Paese. Anche io mi inginocchio sulle strade del Myanmar e dico: cessi la violenza. Anche io stendo le mie braccia e dico: prevalga il dialogo. Il sangue non risolve niente. Prevalga il dialogo.

Lo ricordiamo, nel Paese asiatico dal 1 febbraio scorso, giorno del golpe militare che ha defenestrato dal potere il leader, Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, un'escalation di violenza si è riversata contro i manifestanti pacifici, per lo più giovani, che chiedono il ritorno dello stato di diritto, tra scioperi e proteste di piazza. Almeno 150 le vittime secondo le Ong. Lo "sgomento" espresso dall'Onu e gli appelli della comunità internazionale si uniscono sin dall'inizio all'azione silenziosa e forte della Chiesa: a lunedì scorso durante il Global Day of Prayer risale l'ultimo appello del cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon, che è tornato a invocare dialogo e giustizia.

Un drammatico bilancio 

Secondo le ultime stime dell'Onu, il bilancio di un mese e mezzo di disordini è di almeno 149 morti, tra cui anche donne e minori. Di questi, almeno 11 sono stati uccisi lunedì 15 marzo, addirittura 57 nei due giorni precedenti. Nei numeri si mostra dunque con evidenza l'escalation in corso: nell'ultima settimana si sono registrate circa la metà delle vittime totali in questo mese e mezzo di manifestazioni.  "Ci sono molte altre segnalazioni di ulteriori uccisioni che non siamo stati ancora in grado di confermare", ha detto ieri Ravina Shamdasani dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani. Oltre 2mila persone sono detenute, tra cui decine di giornalisti. Secondo Shamdasani si segnalano anche casi di torture.

Guterres: "Violati i diritti umani" 

Il Segretario generale dell'Onu Antonio Guterres esprime "sgomento" per quanto sta accadendo nel Paese. In una nota , si sottolinea che "l'uccisione dei manifestanti, gli arresti arbitrari e la denunciata tortura dei prigionieri violano i diritti umani fondamentali e si oppongono chiaramente alle richieste del Consiglio di Sicurezza di moderazione, dialogo e ritorno al percorso democratico del Paese". Inoltre Guterres ha esortato la comunità internazionale a lavorare per porre immediatamente fine alla violenza. 

Aung San Suu Kyi

Il blocco delle connessioni internet in tutto il Paese ha intanto impedito all'ex premier, la settantacinquenne Aung San Suu Kyi, di apparire all'udienza del suo processo, previsto in videoconferenza. Il suo avvocato Khin Maung Zaw ha spiegato che l'appuntamento è stato rinviato alla prossima settimana, mercoledì 24 marzo. La leader deve rispondere di almeno quattro capi d'imputazione: importazione illegale di walkie-talkie, mancato rispetto delle restrizioni legate al coronavirus, violazione di una legge sulle telecomunicazioni e incitazioni ai disordini. Da ieri intanto anche la città di Roma manifesta la sua solidarietà alla donna che nel 1991 ha vinto il Nobel per la Pace. Un'immagine con il suo volto è stata esposta in Piazza del Campidoglio, sulla  facciata laterale di Palazzo Nuovo, sede dei Musei Capitolini. "Ci uniamo agli appelli per la sua liberazione", ha affermato il sindaco Virginia Raggi.  

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17 marzo 2021, 10:15