Francesco: gli anziani e i nonni, il “noi” che fa rinascere l’umanità
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Ciò che l'albero ha di fiorito, vive di ciò che ha sepolto”
I versi del poeta argentino Francisco Luis Bernárdez è come se si fossero depositati nell’animo del Papa e anche essi avessero fiorito e illuminato la sua visione sulla terza età, alla quale Francesco non nasconde di appartenere. All’, ricordava che nelle Filippine veniva chiamato “Lolo Kiko”, nonno Francesco.
Una fase della vita che non va sprecata, perché “non è il momento di tirare i remi in barca”, ma va percorsa, suggeriva il Papa, come “una vocazione” fatta di “grazia” e di “missione”. Una via che si è chiamati ad “inventare” anche “per riempire il vuoto dell’ingratitudine” che circonda l’anzianità e per “dare dignità alla memoria e ai sacrifici” delle generazioni passate.
La fantasia dell’amore
Insegnare quindi con la vita, con la vicinanza, con la presenza come fece nonna Rosa con Francesco diventando la radice dell’albero della sua fede. Di “radici”, il Papa parla spesso quando spiega, soprattutto ai giovani, che i loro nonni sono “alberi” anche da curare con gesti di tenerezza, da sorprendere usando “”, da visitare e cercare perché senza la loro “memoria” non si fiorisce. “Poeti della preghiera”, “uomini e donne, padri e madri – affermava Francesco il - che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna”.
I memoriosi
Riconoscere il percorso e la storia di nonni e anziani significa condividere i loro sogni, contrastare nell’incontro la “cultura dello scarto” e richiamare i giovani ad una nuova alleanza. Proprio quest’ultimo è il pensiero “del cuore” che Francesco confessa di avere, come si legge nella prefazione al volume: “La saggezza del tempo” di padre Antonio Spadaro nel quale sono raccolte circa 250 interviste di anziani in più̀ di 30 Paesi dei 5 continenti. Un legame che si costruisce richiamando gli anziani ad essere “memoriosi della storia” mentre per i giovani il Papa invoca “uno sguardo verso l’orizzonte e verso l’alto, per scorgere le stelle”, ma anche “quel sano spirito di utopia che porta a raccogliere le energie per un mondo migliore”.
Affido questo libro ai giovani perché dai sogni degli anziani traggano le loro visioni per un futuro migliore. Per camminare verso il futuro serve il passato, servono radici profonde che aiutano a vivere il presente e le sue sfide. Serve memoria, serve coraggio, serve sana utopia. Ecco cosa vorrei: un mondo che viva un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani.
La famiglia che ha futuro
L’abbraccio di un nonno o di una nonna di certo non si dimentica. Un nuovo abbraccio, scriveva il Papa in , che sfida “il virus della morte”, la cultura dello scarto, dominante nel mondo di oggi ma alla quale la Chiesa deve rispondere, sottolineava Francesco, non conformandosi “ad una mentalità di insofferenza, e tanto meno di indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia”. L’invito era allora, come oggi, di risvegliare “il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua comunità. Francesco, ricordando la memoria dei santi Gioacchino e Anna, in un tweet del 2018, parlava dei nonni come di un “tesoro nella famiglia” ed esortava ad amarli e farli parlare con i bambini.
Una famiglia che non rispetta e non ha cura dei suoi nonni, che sono la sua memoria viva, è una famiglia disintegrata; invece una famiglia che ricorda è una famiglia che ha futuro. (Amoris Laetitia,193)
La paura negli occhi dei nonni
Ad allontanare le famiglie, in questo periodo, è stata anche la pandemia con l’impossibilità di scambiarsi abbracci e carezze per tutelare la salute dei più fragili. Altissimo è stato il prezzo pagato dagli anziani con case di cura diventati focolai di coronavirus, con nonni morti in solitudine, isolati dal resto della comunità che spesso però ha risposto generosamente provvedendo alle cose più essenziali. E l’affetto, che cosa essenziale è, invece è mancato. Francesco, nelle Messe del mattino a Casa Santa Marta, ha avuto questa umanità silenziosa e sofferente sempre presente.
Preghiamo oggi per gli anziani, specialmente per coloro che sono isolati o nelle case di riposo. Loro hanno paura, paura di morire da soli. Sentono questa pandemia come una cosa aggressiva per loro. Loro sono le nostre radici, la nostra storia. Loro ci hanno dato la fede, la tradizione, il senso di appartenenza a una patria. Preghiamo per loro perché il Signore sia loro vicino in questo momento. ()
Volti, mani e voci
La pandemia, anche in Papa Francesco, porta con sé l’immagine di questi “alberi che continuano a portare frutto” piegati nel fisico e nell’animo da un vento forte e contrario. Proprio quel vento di tempesta che lui stesso evocò, nella preghiera in San Pietro il 27 marzo, per ricordare che “non ci si salva da soli”. Un pensiero che percorre la sua ultima enciclica nella quale insegna che nessun dolore, soprattutto quello legato alla perdita, è mai vano.
Che non ci dimentichiamo degli anziani morti per mancanza di respiratori, in parte come effetto di sistemi sanitari smantellati anno dopo anno. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato.
E’ un rifiorire che passa dalla riconoscenza dei figli ai genitori, nel passaggio del testimone della vita.
“E dentro questa riconoscenza per chi ti ha trasmesso la vita, c’è – aveva detto Francesco nella - anche la riconoscenza per il Padre che è nei cieli”.
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