Il Papa: la risposta sociale alla pandemia è una politica del bene comune
Debora Donnini - Città del Vaticano
Il coronavirus ha mostrato l’intreccio profondo che esiste fra il bene comune e il bene di ciascuno, che “la salute, oltre che individuale, è anche un bene pubblico” per cui una società sana “si prende cura della salute di tutti”. E’ quanto emerge con forza dalla di stamani che, dallo scorso mercoledì, si tieni alla presenza dei fedeli, con il dovuto distanziamento per la pandemia, nella cornice del Cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico. Si percepisce la gioia dei fedeli e anche del Papa che a lungo prima dell’inizio si sofferma, a distanza, a parlare con i presenti. E dopo la benedizione chiede a tutti di non ammucchiarsi “per evitare i contagi”. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)
Il vero bene di ciascuno è il bene comune
Il Papa prosegue, dunque, le catechesi su come guarire il tessuto personale e sociale ferito ancor più profondamente dalla pandemia, con frequenti richiami al prezioso tesoro della Dottrina sociale della Chiesa. Se nella precedente catechesi si era concentrato sulla solidarietà e, ancora prima, sulle ingiustizie e i danni anche al creato causate da un’economia malata, stamani il focus è sull’amore come strada per il bene comune perché come ha reso evidente la pandemia, "il vero bene per ciascuno è un bene comune non solo individuale".
Per costruire una società sana, una società inclusiva, giusta e pacifica, dobbiamo farlo sopra la roccia del bene comune. Il bene comune è una roccia. E questo è compito di tutti noi, non solo di qualche specialista.
Non appropriarsi dei vaccini e non alimentare divisioni
Purtroppo, sottolinea, si assiste all’emergere di interessi di parte, ad esempio, “c’è chi vorrebbe appropriarsi di possibili soluzioni, come nel caso dei vaccini e poi venderli agli altri”, oppure “alcuni approfittano della situazione per fomentare divisioni” in cerca di vantaggi economici o politici, altri ancora semplicemente imboccano la strada dell’indifferenza, “i devoti di Ponzio Pilato”, afferma a braccio. In questo orizzonte, invece, “la risposta cristiana alla pandemia e alle conseguenti crisi socio-economiche si basa sull’amore”. Prima di tutto si tratta dell’amore di Dio, da accogliere per poter rispondere in maniera simile, un amore da avere non solo verso chi mi ama, come la famiglia, gli amici, ma anche per coloro che non si conoscono, che sono stranieri, e perfino per i nemici. “Il punto più alto della santità" è "amare i nemici” anche se non è facile, evidenzia. E' “un’arte” che si può imparare e migliorare.
Una civiltà dell'amore altrimenti prevale la cultura della scarto
Anche in questa catechesi Papa Francesco si riallaccia al Catechismo e al cammino dei suoi predecessori. Ancora centrale è il richiamo alla di San Giovanni Paolo II, fondamentale riferimento di questo ciclo di catechesi. Il Papa ricorda che una delle “più alte espressioni di amore è proprio quella sociale e politica”, decisiva per affrontare ogni tipo di crisi. L’amore infatti feconda anche le relazioni sociali, permettendoci di costruire una “civiltà dell’amore”, come amava dire San Paolo VI e, sulla sua scia, San Giovanni Paolo II. Altrimenti prevale la cultura dello scarto, dell’egoismo. Quindi, per fare comprendere il cuore di questo discorso, fa riferimento a due genitori incontrati stamani all'entrata, che hanno un figlio disabile a cui dedicano tutta la loro vita:
Questo è amore. E i nemici, gli avversari politici, anche al nostro parere, sembrano essere disabili politici, sociali, ma sembrano. Solo Dio sa se lo sono o no. Ma noi dobbiamo amarli, dobbiamo dialogare, dobbiamo costruire questa civiltà dell’amore, questa civiltà politica, sociale, dell’unità di tutta l’umanità. Al contrario, le guerre, le divisioni, le invidie, anche le guerre in famiglia: perché l’amore inclusivo è sociale, è familiare, è politico... l’amore pervade tutto.
L'amore genera solidarietà a tutti i livelli
L'amore, poi, è espansivo. Tante volte fa più bene una carezza di perdono che non tanti argomenti per difendersi, nota.
Un virus che non conosce barriere, frontiere o distinzioni culturali e politiche deve essere affrontato con un amore senza barriere, frontiere o distinzioni. Questo amore può generare strutture sociali che ci incoraggiano a condividere piuttosto che a competere, che ci permettono di includere i più vulnerabili e non di scartarli, e che ci aiutano ad esprimere il meglio della nostra natura umana e non il peggio. Il vero amore non conosce la cultura dello scarto, non sa cosa sia. Infatti, quando amiamo e generiamo creatività, quando generiamo fiducia e solidarietà, è lì che emergono iniziative concrete per il bene comune. E questo vale sia a livello delle piccole e grandi comunità, sia a livello internazionale.
Possiamo guarire il mondo lavorando per il bene comune
Difatti se in famiglia o nel quartiere si comincia con l'invidia, con la lotta, alla fine "sarà la guerra". Se invece si comincia con l'amore, sarà il perdono per tutti.
Se ognuno ci mette del suo, e se nessuno viene lasciato fuori, potremo rigenerare relazioni buone a livello comunitario, nazionale, internazionale e anche in armonia con l’ambiente. Così nei nostri gesti, anche quelli più umili, si renderà visibile qualcosa dell’immagine di Dio che portiamo in noi, perché Dio è Trinità d’Amore. Con il suo aiuto, possiamo guarire il mondo lavorando tutti insieme per il bene comune. Dio è amore, Dio è amore. Questa è la più bella definizione di Dio che è nella Bibbia, ce la dà l’apostolo Giovanni che tanto amava Gesù: Dio è amore. Con il suo aiuto, possiamo guarire il mondo lavorando sì, tutti insieme per il bene comune, non solo per il mio bene, per il bene comune di tutti.
A evidenziare questa responsabilità individuale è stato senz’altro san Tommaso d’Aquino, che ricordava come la promozione del bene comune fosse “un dovere di giustizia” che ricade su ogni cittadino. Per i cristiani è anche una missione e sant’Ignazio di Loyola esortava a orientare gli sforzi quotidiani verso il bene comune come un modo per “diffondere la gloria di Dio”.
E' doverosa una buona politica
Se, invece, le soluzioni alla pandemia portano “l’impronta dell’egoismo”, “forse possiamo uscire dal coronavirus”, nota, ma “certamente non dalla crisi umana e sociale” che il virus ha accentuato. Lo sguardo del Papa si posa, quindi, anche sulla politica che, nota, “spesso non gode di buona fama, e – dice – sappiamo il perché”. Questo non vuol dire che "i politici tutti siano cattivi". Francesco esorta dunque a non rassegnarsi a questa visione negativa ma a reagire mostrando che “è doverosa una buona politica” che metta al centro bene comune e persona umana. Infatti, nella storia, ci sono "tanti politici santi":
I cristiani, in modo particolare i fedeli laici, sono chiamati a dare buona testimonianza di questo e possono farlo grazie alla virtù della carità, coltivandone l’intrinseca dimensione sociale. È dunque tempo di accrescere il nostro amore sociale, contribuendo tutti, a partire dalla nostra piccolezza. Il bene comune richiede la partecipazione di tutti.
La Giornata della tutela dell'educazione nell'ambito dei conflitti
Al termine della catechesi, nei saluti ai fedeli di lingua araba il Papa ha esortato studenti e insegnanti che in questi giorni sono tornati a scuola, ad essere “i veri artefici del futuro”, in una società sempre più sconvolta da grandi sfide che interpellano l’uomo contemporaneo. Poi, ricordando che la festa della Natività della Beata Vergine Maria, celebrata ieri, è chiamata in Polonia anche “la festa della Madonna della Semina”, ha detto ai fedeli polacchi: “Facendo benedire il grano per la semina di quest’anno, avete pregato affinché tutti gli uomini ad imitazione di Maria fruttifichino il centuplo. Ella ha donato al mondo un frutto impagabile: Gesù, nostro Salvatore. Anche noi siamo chiamati da Dio a portare frutto, attraverso le opere buone”. Infine, l’appello alla comunità internazionale per bambini e giovani privati dell’educazione a causa di guerre e terrorismo, in occasione della prima Giornata internazionale della tutela dell’educazione dagli attacchi, nell’ambito dei conflitti armati.
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