Il Papa: la disuguaglianza si può vincere, un mondo ricco deve eliminare la ±č´Ç±ą±đ°ůłŮĂ
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Non siamo condannati” alla disuguaglianza sociale né alla “paralisi di fronte all’ingiustizia”: un “mondo ricco e un'economia vivace possono e devono porre fine alla povertà”, “generare risposte creative” per includere e nutrire gli ultimi, “invece di escluderli”. Creando una “nuova architettura finanziaria internazionale”, che sostenga lo sviluppo dei Paesi poveri, alleviando il loro debito, senza paradisi fiscali, evasione e riciclaggio di denaro sporco “che derubano la società”, con governi che difendono giustizia e bene comune “rispetto agli interessi delle imprese e delle multinazionali più potenti”.
Lavoriamo insieme contro le ingiustizie dell'economia globale
E’ il manifesto della Dottrina sociale della Chiesa che a banchieri, economisti e ministri delle finanze di tutto il mondo, invitati in Vaticano dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, per il workshop su “Nuove forme di fraternità solidale, di inclusione, integrazione e innovazione". Il Papa vuole coinvolgerli in un lavoro comune per porre fine alle “ingiustizie della nostra attuale economia globale”: siamo, scandisce “co-partecipi dell’opera del Signore che può cambiare il corso della storia per la dignità di ogni persona oggi e di domani, specialmente di coloro che ne sono esclusi, e per il grande bene della pace”.
Il mondo è ricco, ma centinaia di milioni sono senza cibo
Francesco esordisce, intervenendo tra gli scranni lignei della Casina Pio IV, ricordando “un dato di fatto”.
Cinque milioni di bimbi in 5 anni moriranno per la povertà
Si stima, aggiunge, “che quest'anno circa cinque milioni di bambini sotto i cinque anni moriranno a causa della povertà. Altri 260 milioni di bambini non riceveranno un’ instruzione per mancanza di risorse, a causa delle guerre e delle migrazioni”. Una situazione, denuncia il Pontefice, che “ha portato milioni di persone a cadere vittime della tratta e di nuove forme di schiavitù, come il lavoro forzato, la prostituzione e il traffico di organi. Non hanno diritti e garanzie; non possono nemmeno godere dell'amicizia o della famiglia”.
Non siamo condannati alla disuguaglianza sociale
Tali realtà però, chiarisce Papa Francesco, “non devono essere motivo di disperazione, ma di azione”, perché “si tratta di problemi risolvibili e non di mancanza di risorse”.
Lo ripeto: non siamo condannati alla disuguaglianza universale. Questo rende possibile un nuovo modo di affrontare gli eventi, che consenta di trovare e generare risposte creative alla sofferenza evitabile di tante persone innocenti; ciò implica accettare che, in non poche situazioni, ci troviamo di fronte a una mancanza di volontà e di determinazione a cambiare le cose e, soprattutto, le priorità.
Con la ricchezza e la tecnica di oggi non ci sono più scuse
Si tratta “di lasciarci interpellare” e “vedere queste realtà sotto una nuova luce”. Perché, afferma il Papa, “un mondo ricco e un'economia vivace possono e devono porre fine alla povertà”. Si possono generare “dinamiche in grado di includere, nutrire, curare e vestire gli ultimi della società invece di escluderli”. E’ una questione di priorità: “se promuovere meccanismi socio-economici che umanizzino la società”, oppure, al contrario, un sistema che giustifica pratiche “che riescono solo ad aumentare il livello di ingiustizia e di violenza sociale”. Oggi, per Francesco, “il livello di ricchezza e di tecnica accumulato dall'umanità, come pure l'importanza e il valore che i diritti umani hanno acquisito, non ammettono più scuse”.
I 50 più ricchi del mondo potrebbero salvare milioni di vite
Siamo tutti responsabili, denuncia ancora il Pontefice, di aver permesso che il divario tra la povertà estrema e la ricchezza (a sua volta estrema) “si ampliasse fino a diventare il più grande della storia”. Le cinquanta persone più ricche del mondo hanno un patrimonio equivalente a 2,2 miliardi di dollari.
La finanza fine a se stessa è struttura di peccato
La globalizzazione dell'indifferenza, ricorda Francesco, è stata chiamata "inazione". San Giovanni Paolo II l’ha chiamata "strutture del peccato". Strutture che, per il Papa, “trovano un clima propizio alla loro espansione ogni volta che il Bene Comune viene ridotto o limitato a determinati settori” o quando” l'economia e la finanza diventano fini a se stesse”, per “idolatria del denaro”, “avidità” e “speculazione”. La grande innovazione tecnologica permette oggi transazioni velocissime e permette di produrre forti profitti non “legati ai processi produttivi o all’economia reale”. E’ la speculazione finanziaria, condannata da Aristotele, perché in essa “il denaro stesso diventa produttivo”. La Dottrina sociale della Chiesa, sottolinea Francesco, celebra le forme di governo e le banche quando adempiono alla loro finalità, che è “ricercare il bene comune, la giustizia sociale, la pace, come pure lo sviluppo integrale di ogni individuo, di ogni comunità umana e di tutte le persone”.
No al taglio di tasse ai ricchi e ai paradisi fiscali
Ma la Chiesa avverte, “che queste istituzioni benefiche, sia pubbliche che private, possono decadere in strutture di peccato”.
Le strutture del peccato oggi includono ripetuti tagli delle tasse per le persone più ricche, spesso giustificati in nome degli investimenti e dello sviluppo; paradisi fiscali per i profitti privati e aziendali, e la possibilità di corruzione da parte di alcune delle più grandi società del mondo, non di rado in sintonia con l'establishment politico al potere.
Troppe tasse per i poveri nei Paesi indebitati
Il Pontefice lamenta poi che “le persone povere nei Paesi fortemente indebitati soffrono di una pressione fiscale opprimente e di tagli ai servizi sociali, mentre i loro governi pagano debiti contratti in modo insensibile e insostenibile”. Così il debito pubblico, contratto “per promuovere e incoraggiare lo sviluppo economico e produttivo di un Paese”, può diventare un fattore che danneggia il tessuto sociale.
Non siamo condannati alla paralisi di fronte all'ingiustizia
Anche in questo, però, ricorda Papa Francesco, siamo corresponsabili per “la ricerca di soluzioni innovative e umanizzanti”, perché “non esiste una legge magica o invisibile” che ci condanni “al congelamento o alla paralisi di fronte all'ingiustizia”. E nemmeno una razionalità economica che presuppone che la persona “sia semplicemente un accumulatore di benefici individuali estranei alla sua condizione di essere sociale”.
Giovanni Paolo II: no al debito pagato con la fame dei popoli
E qui il Papa cita san Giovanni Paolo II e le sue attualissime esigenze morali fissate, nel 1991, nell’enciclica “Centesimus annus”, che sono oggi sorprendentemente attuali: “Se è giusto che i debiti debbano essere pagati – scriveva – non è lecito, però, chiedere o pretendere un pagamento, quando questo verrebbe ad imporre di fatto scelte politiche tali da spingere alla fame e alla disperazione intere popolazioni. Non si può pretendere che i debiti contratti siano pagati con insopportabili sacrifici”. Quindi è necessario, proseguiva Papa Wojtyla, “trovare modalità di alleggerimento, di dilazione o anche di estinzione del debito, compatibili col fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso”.
Ristrutturazione del debito per i Paesi poveri
Anche gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati all'unanimità da tutte le nazioni, ricorda ancora Francesco, “riconoscono questo punto” e invitano tutti i popoli ad "aiutare i Paesi in via di sviluppo a raggiungere la sostenibilità del debito a lungo termine” attraverso politiche coordinate volte a favorire il finanziamento, la riduzione e anche la ristrutturazione del debito, per “ridurre il disagio dei Paesi poveri fortemente indebitati”.
Queste dovrebbero essere le nuove forme di solidarietà alle quali siamo chiamati oggi, se pensiamo al mondo delle banche e della finanza: l'aiuto allo sviluppo dei popoli rimasti indietro e il livellamento tra i Paesi che godono di un determinato standard e livello di sviluppo e quelli che non sono in grado di garantire il minimo necessario alle loro popolazioni.
L'industria della guerra è la più grande struttura di peccato
Il Pontefice ribadisce poi che “la più grande struttura del peccato è la stessa industria della guerra, poiché è denaro e tempo al servizio della divisione e della morte”. Ogni anno, il mondo perde “miliardi di dollari in armamenti e violenza, somme che porrebbero fine alla povertà e all'analfabetismo se si potessero ridestinare” e, come predisse Isaia, trasformare le spade in vomeri e le lance in falci.
Si possono raggiungere gli obiettivi della Dichiarazione Onu
Più di settant'anni fa, ricorda Francesco, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite “ha impegnato tutti i suoi Stati membri a prendersi cura dei poveri nella loro terra e nelle loro case e in tutto il mondo, cioè nella casa comune”.
I governi hanno riconosciuto che la protezione sociale, il reddito di base, l'assistenza sanitaria per tutti e l'istruzione universale sono inerenti alla dignità umana fondamentale e quindi ai diritti umani fondamentali. Questi diritti economici e un ambiente sicuro per tutti sono la misura più elementare della solidarietà umana. E la buona notizia è che mentre nel 1948 questi obiettivi non erano immediatamente raggiungibili, oggi, con un mondo molto più sviluppato e interconnesso, lo sono.
Voi siete i leader finanziari del mondo: lavoriamo insieme
Il Papa si rivolge direttamente ai suoi interlocutori: “Siete i leader finanziari ed esperti economici del mondo. Insieme ai vostri colleghi, aiutate a stabilire le regole fiscali globali, informate il pubblico globale sulla nostra situazione economica e consigliate i governi del mondo in tema di bilanci. Conoscete di prima mano quali sono le ingiustizie della nostra attuale economia globale”. E lancia il suo invito: “Lavoriamo insieme per porre fine a queste ingiustizie. Quando gli organismi multilaterali di credito forniscono consulenza ai diversi governi, devono far passare i “concetti elevati della giustizia fiscale, dei bilanci pubblici responsabili del loro indebitamento e, soprattutto, di una promozione effettiva dei più poveri nella trama sociale che li renda protagonisti”.
Un'etica a difesa del bene comune, non delle multinazionali
La proposta di Francesco è quella di “una nuova etica” che impegni tutti a lavorare insieme “per chiudere i paradisi fiscali, prevenire l'evasione e il riciclaggio di denaro sporco che viene rubato alla società”, a ricordare alle nazioni “l'importanza di difendere la giustizia e il bene comune rispetto agli interessi delle imprese e delle multinazionali più potenti (che finiscono per soffocare e impedire la produzione locale)”. E’ necessario passare “da una logica insulare e antagonista” per la soluzione dei conflitti a un'altra “che favorisca una cultura dell'incontro”, per arrivare a “una nuova architettura finanziaria internazionale”.
Cambiare il corso della storia, per la dignità di tutti
Il Pontefice conclude citando le parole di san Luca: "A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto" e quelle di sant’Ambrogio: “Tu ricco non dai del tuo al povero quando fai carità… ma gli stai consegnando ciò che è suo. Perché la proprietà comune data in uso per tutti, la stai usando tu solo”. Questo, chiosa Papa Francesco, “è il principio della destinazione universale dei beni, la base della giustizia economica e sociale, nonché del bene comune”.
Celebriamo l'opportunità di saperci co-partecipi dell'opera del Signore che può cambiare il corso della storia a beneficio della dignità di ogni persona oggi e di domani, specialmente degli esclusi, e per il grande bene della pace. Ci impegniamo insieme con umiltà e saggezza a servire la giustizia internazionale e inter-generazionale.
ULTIMO AGGIORNAMENTO: 10 FEBBRAIO
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