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Baraccopoli a Bangkok Baraccopoli a Bangkok 

Missionario: il Papa aiuti la Chiesa thailandese a uscire verso i poveri

Il missionario del Pime padre Adriano Pelosin, da oltre quarant’anni nel Paese asiatico, racconta ai nostri microfoni la sua esperienza pionieristica nel sostegno a malati, emarginati, famiglie disgregate

Antonella Palermo – Città del Vaticano
“I cattolici sono tutti come elettrizzati dalla venuta del Papa. Questo evento sta creando anche un forte entusiasmo nelle nazioni vicine”. Padre Adriano Pelosin, originario di Padova e missionario PIME, da 41 anni vive in Thailandia e partecipa con grande gioia alla visita di Papa Francesco. E’ parroco nell’unica parrocchia a Pathumchani, periferia della capitale e da dieci anni è Superiore Generale dell’Istituto Missionario thailandese, che prepara i futuri missionari locali per le terre vicine. Proprio dai Paesi confinanti sono giunti numerosi cristiani e non per accogliere e conoscere il Pontefice. “Sono arrivati duecento vietnamiti con i loro preti per la messa qui – racconta – e ho incontrato una ventina di cambogiani guidati dal loro parroco. E’ un momento di grande scambio tra cattolici thailandesi, cinesi, malesiani, filippini, cambogiani, indonesiani, del Myanmmar”.

Ci può illustrare la sua opera soprattutto per gli emarginati?

R: - “E’ sempre stata una mia grande preoccupazione lavorare per i più poveri e portare a loro non solo un po’ più di benessere ma, per esempio, l’educazione scolastica per i ragazzi, la cura fisica per gli ammalati, la cura per gli anziani, gli handicappati. Sono stato il primo ad aprire una piccola casa per malati di Aids, quando ancora c’era una grande paura solo a pronunciare la parola. Ho aperto delle case famiglia nelle baraccopoli nei dintorni di Bangkok ma anche in città accogliendo bambini abbandonati. Oggi sta accadendo che i nonni stanno a casa ad accudire i nipotini, i genitori di questi bambini non esistono: risposati, ammalati di Aids, drogati, alcolizzati, sono andati con altri uomini o donne… rimangono queste famiglie anomale, con anziani e bambini. Le donne non possono accudire i nipotini e allora entriamo in campo noi. E’ una piccola goccia ma cerchiamo di aiutarli. Anche nei villaggi più remoti si sta verificando questo problema, nei villaggi dei tribali dove ho lavorato quarant’anni fa. Allora, sebbene poveri, ancora c’era il nucleo delle famiglie. Adesso i figli vanno a lavorare in città, fanno figli a loro volta e li mandano a casa dei nonni. Quindi anche nei piccoli villaggi c’è la rottura di queste cellule. Insomma, c’è in generale un miglioramento economico della società, ma moralmente no, devo dire proprio no.

Di fronte all’amarezza, la motivazione all’aiuto nello stile di Gesù resta forte…

R: - Sì. Ho parecchi collaboratori e proviamo gioia grande quando riportiamo al sorriso e alla speranza un malato di Aids che dice: posso ancora vivere perché qualcuno mi vuole bene. Abbiamo capito che noi dobbiamo farlo questo lavoro perché Cristo è presente in queste persone.

Quale la genesi dell’Istituto Missionario Thailandese, di cui lei è Superiore Generale?

R: - E’ stato voluto dalla Conferenza Episcopale Thailandese sulla linea guida del Papa Giovanni Paolo II per cui anche le Chiese giovani devono partecipare alla missione ‘ad gentes’ verso i non cristiani. E’ stato realizzato nel 1987. Io ero in Italia a quell’epoca perché avevo avuto un infarto. Sono tornato in Thailandia per collaborare perché sentivo forte il desiderio di aiutare la Chiesa locale a diventare missionaria, a non delegare la missione solo ai missionari esteri. Poco alla volta questa idea è entrata in loro, si sentono ora adulti e capaci di fare questa missione. Ne abbiamo inviati a nord del Paese tra le tribù dei monti ad evangelizzare il Laos, in Cambogia. Insomma la Chiesa thailandese ha sentito l’esigenza di aiutare le piccole chiese vicine che erano nella miseria più assoluta. Ultimamente abbiamo mandato tre missionari anche a Taiwan dove, pur vivendo la popolazione in condizioni migliori, non ci sono vocazioni sacerdotali.

Quali frutti attende da questa visita del Papa?

R: - Mi attendo quello che il Santo Padre sta facendo tutti i giorni, ma che lo dica esplicitamente per la Thailandia: che la Chiesa si apra ai poveri. La Chiesa thailandese è ricca di tante vocazioni maschili e femminili, di scuole cattoliche che fanno soldi, di talenti, ricca della verità su Gesù Cristo, ma è un po’ chiusa su se stessa, quasi temendo condividere queste ricchezze con i più poveri. Questo purtroppo rischia di strangolarla. Vorrei proprio che il Papa spezzasse questa corda affinché ci si impegni, con coraggio, in questa direzione.

Ascolta l'intervista a padre Pelosin

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21 novembre 2019, 11:31