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Memoriale della pace di Hiroshima, Bomb Dome in Hiroshima Memoriale della pace di Hiroshima, Bomb Dome in Hiroshima

Hiroshima, il racconto di una sopravvissuta: la vita è preziosa

Toshiko Tanaka è una donna di Hiroshima scampata alla morte all’epoca dello disastro nucleare del 1945. Ai nostri microfoni, dal Giappone, non si stanca di invocare la pace, ricordando l’incontro che ebbe con Giovanni Paolo II nel 1981 e attendendo con trepidazione l’arrivo di Papa Francesco

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Dalla morte alla vita. L’arte come via generatrice per metabolizzare la tragedia. All’età di 81 anni, Toshiko Tanaka rievoca la sua infanzia bombardata, senza perdere la speranza. Durante il viaggio apostolico che fece Wojtyla nel Paese del Sol Levante nel 1981, ebbe modo di regalargli una sua opera. Una occasione di ulteriore rinascita, come lei stessa ci ha raccontato:

Ascolta l'intervista a Toshiko Tanaka

R. - Quel giorno del 1945 avevo 6 anni e 10 mesi. Ero alle scuole elementari. Fino a sei giorni prima dello scoppio della bomba, la mia famiglia abitava a circa 500 metri dall’epicentro. Vicino casa c’era un asilo dove è stato costruito un museo storico su quell’evento. Le autorità locali all’epoca ci invitarono a spostarci da lì per creare un ‘corridoio anti-incendio’. Ci trasferimmo dunque da alcuni parenti, a un paio di chilometri. I miei genitori gestivano un albergo. Anche due chilometri però erano troppo pochi per evitare danni. Ho riportato gravissime ustioni, ma almeno mi sono salvata. Quel trasloco provvidenziale di pochi giorni prima mi salvò la vita. Dei miei compagni invece non è rimasta nemmeno la polvere delle ossa. Quella mattina dunque alle 8.15 stavo andando a scuola. Qualcuno gridava: ‘B29!’. Guardai in alto e vidi una luce abbagliante come se fossero scoppiate all’unisono migliaia di lampadine. Rimasi accecata. Tutto divenne bianco. All’improvviso mi coprii il viso ma il braccio destro, la schiena tutta bruciava. Prima tutto bianco e poi tutto nero. Buio totale. Arrivò poi una tempesta di sabbia con un boato. Offuscò completamente il sole. Il boato mi scaraventò indietro. La mia bocca era intasata di polvere. Non capivo niente. Mi si gonfiava il braccio destro. Un dolore enorme. Tornai indietro per rientrare a casa ma non c’era quasi più niente. Attraverso il tetto distrutto, dopo un poco, riuscii a vedere il cielo blu. L’immagine di quello spicchio di cielo blu mi ha accompagnato come segno di speranza per tutta la vita. Ancora adesso, alla mia età, quella immagine mi dà coraggio. Oggi riesco a stare bene grazie a quella immagine.

Lei professa una fede particolare?

R. - Sono buddista ma se dovessi dire… io credo al cielo.

Come ha metabolizzato quel trauma?

Creando. Sono una artista. Uso lo smalto multicolore. Creo quadri, ma non sono mai riuscita a dipingere inserendo il messaggio crudele dell’esplosione. Il riferimento alla tragedia è implicito, intuitivo. Non riuscivo nemmeno ai miei figli a raccontare quello che avevo vissuto. Bloccata nella parola. Anche gli altri superstiti, mi sono accorta dopo anni, vivevano questo blocco, nel timore anche di farsi una famiglia propria. La mia è arte contemporanea, la gente non afferra immediatamente ma quando ho fatto omaggio a Giovanni Paolo II di una mia opera, lui ha colto il messaggio istintivamente, senza alcuna spiegazione. Da allora anche il mio stile ne ha risentito, ho cominciato a inserire nelle mie opere il messaggio della pace, antiatomico. Eppure conservavo, negli anni a seguire, quasi un senso di colpa rispetto ai tantissimi miei compagni che erano morti e che mi impediva di raccontare. Nel 2008 sono entrata a far parte dell’equipaggio ‘Peace boat’. Nel corso di un viaggio in America latina ho acquisito la consapevolezza di dovere raccontare la mia storia, di farlo anche in contesti internazionali. Ho maturato così, anche nei confronti delle vittime, la responsabilità del racconto. Raccontare la morte ma anche la speranza e la vita. Ho ristrutturato casa mia per renderla capace di accogliere chiunque voglia ascoltare qualcosa della mia esperienza. E’ una piccola azione personale che faccio per promuovere la pace, senza appartenenze a nessun gruppo o associazione particolare.

Come vive la visita di Papa Francesco nel suo Paese?

R. - Ho tanta speranza. Il pericolo delle armi nucleari è sempre fortissimo. Voglio ascoltare il suo messaggio per noi. Sono passati tanti anni, occorre di nuovo un messaggio forte di pace. Desidero di essere confermata nell’incoraggiamento. Spero tanto in parole che richiamino al senso della vita. La vita è preziosa, sento una grande passione nel ripeterlo. 

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22 novembre 2019, 07:15