Papa ai nuovi vescovi: siate canali sempre aperti tra Gesù e la gente
Debora Donnini – Città del Vaticano
Vicini a Dio e ai fratelli. È in questa dinamica che ‘si gioca’ la missione dei vescovi, chiamati ad essere “canali sempre aperti” fra Gesù e la gente, con disponibilità reale a sporcarsi le mani per la vita dei fratelli. ai 105 vescovi ordinati nell’ultimo anno, ricevuti stamani in udienza in Vaticano. I presuli hanno preso parte al Corso di formazione promosso dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali, svoltosi a Roma in questi giorni e conclusosi ieri. Un corso sull’identità e la missione del vescovo, quest’anno concentrato in particolare sulla sinodalità, ha ricordato nel saluto iniziale il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)
Esistiamo per rendere palpabile la vicinanza di Dio
Nel discorso denso e ricco di riferimenti concreti, il Papa li esorta a coltivare questa intimità con il Signore, che preserva sia dalla “presunzione pelagiana” di credere che il bene derivi dalla “nostra bravura”, sia dalla “malinconia pessimista” di chi dice: “tutto va male” e – nota - “è brutto sentire un vescovo dire questo”. La fede della Chiesa è Gesù, non un compendio di dottrine o una teoria. La Chiesa stessa, avverte Francesco, si smarrisce quando perde la tenerezza vivificante del Buon Pastore perché, sottolinea, “non conosciamo altra forza che questa, la forza del Buon Pastore, la forza di dare la vita, di avvicinare all’Amore per mezzo dell’amore”.
Gesù si accosta ai fratelli per mezzo delle nostre mani, parole e cuore
Per questo il Papa chiede di passare tempo con Gesù: prima di tutto per prendere coscienza che “la nostra identità” - dice - consiste nel diventare “pani spezzati per la vita del mondo”, così la vicinanza al popolo non è una “strategia opportunista” ma “la nostra condizione essenziale”. “Esistiamo per rendere palpabile questa vicinanza”, sottolinea.
Gesù ama accostarsi ai suoi fratelli per mezzo nostro, per mezzo delle nostre mani aperte che accarezzano e consolano; delle nostre parole, pronunciate per ungere il mondo di Vangelo e non di noi stessi; del nostro cuore, quando si carica delle angosce e delle gioie dei fratelli. Pur nella nostra povertà, sta a noi che nessuno avverta Dio come lontano, che nessuno prenda Dio a pretesto per alzare muri, abbattere ponti e seminare odio. È brutto anche quando un vescovo abbatte dei ponti, semina odio o sfiducia, fa il contro-vescovo. Abbiamo da annunciare con la vita una misura di vita diversa da quella del mondo: la misura di un amore senza misura, che non guarda al proprio utile e ai propri tornaconti, ma all’orizzonte sconfinato della misericordia di Dio.
Non accontentarsi di dialoghi di circostanza o circondarsi di yes men
Attenzione ai poveri e sobrietà sono “termometro” di questa vicinanza. Fare una vita semplice, è infatti, segno che “Dio ci basta” ma anche che “il tesoro” è costituito proprio da quanti nelle loro povertà ci ripresentano Cristo: “non poveri astratti”, nel senso di “categorie sociali”, ma “persone concrete, la cui dignità è affidata a noi in quanto loro padri”.
Padri di persone concrete; cioè paternità, capacità di vedere, concretezza, capacità di accarezzare, capacità di piangere. Pare che oggi ci siano stetoscopi che riescono a sentire un cuore a un metro di distanza. Ci occorrono Vescovi capaci di sentire il battito delle loro comunità e dei loro sacerdoti, anche a distanza: sentire il battito. Pastori che non si accontentano di presenze formali, di incontri di tabella o di dialoghi di circostanza. A me vengono in mente Pastori così auto-curati che sembrano acqua distillata, che non sa di nulla. Apostoli dell’ascolto, che sanno prestare orecchio anche a quanto non è gradevole sentire. Per favore, non circondatevi di portaborse e yes men… i preti “arrampicatori” che cercano sempre… no, per favore. Non bramate di essere confermati da coloro che siete voi a dover confermare.
Non lasciare le persone in attesa o i problemi sotto il tappeto
Bisogna, poi, prepararsi senza paura a questa disponibilità reale perché Dio “spesso ama scombussolare la nostra agenda”, avverte il Papa esortando fare visite pastorali regolari per incontrare la gente e i Pastori. E, sull'esempio del Buon Samaritano, ricorda che la chiamata è a “vedere”, cioè non voltarsi dall’altra parte, non lasciare le persone in attesa o i problemi sotto il tappeto, a “farsi vicini”, dedicare tempo alle persone “più che alla scrivania”, e a “fasciare le ferite”, cioè prendersi cura.
Ognuno di questi verbi della prossimità è una pietra miliare nel cammino di un Vescovo col suo popolo. Ognuno chiede di mettersi in gioco e di sporcarsi le mani. Essere vicini è immedesimarsi col popolo di Dio, condividerne le pene, non disdegnarne le speranze. Essere vicini al popolo è avere fiducia che la grazia che Dio fedelmente vi riversa, e di cui siamo canali anche attraverso le croci che portiamo, quella grazia è più grande del fango di cui abbiamo paura. Per favore, non lasciate prevalere i timori per i rischi del ministero, ritraendovi e mantenendo le distanze.
La vicinanza più grande sia ai sacerdoti
Quindi, come già altre volte, il Papa ribadisce ai vescovi l’importanza di “riservare la vicinanza più grande” ai loro sacerdoti, sono “il prossimo più prossimo del vescovo”, spiega, chiedendo anche di rincuorandoli a nome del Papa perché anche loro sono esposti alle intemperie di un mondo che, “pur stanco di tenebre, non risparmia ostilità alla luce”. Hanno bisogno di essere incoraggiati, da loro Dio desidera un “sì” totale, e la loro vita non è fatta per ristagnare in acque poco profonde, ma per prendere il largo.
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