Il Papa ai greco-cattolici ucraini: portate pace e unità dove ci sono guerra e divisioni
Barbara Castelli – Città del Vaticano
L’Ucraina vive da tempo una situazione difficile e delicata, da oltre cinque anni ferita da un conflitto che molti chiamano “ibrido”, composto com’è da azioni di guerra dove i responsabili si mimetizzano; un conflitto dove i più deboli e i più piccoli pagano il prezzo più alto, un conflitto aggravato da falsificazioni propagandistiche e da manipolazioni di vario tipo, anche dal tentativo di coinvolgere l’aspetto religioso.
. Come annunciato dalla Sala Stampa Vaticana lo scorso 4 maggio, il Pontefice ha voluto dare “un segno della sua vicinanza alla Chiesa greco-cattolica ucraina” invitando i suoi rappresentanti “a Roma, nei giorni 5 e 6 luglio”. Tale incontro, a cui partecipano anche i superiori dei Dicasteri della Curia Romana competenti per il Paese, offre anche “un’ulteriore occasione per approfondire l’analisi della vita e delle necessità dell’Ucraina, allo scopo di individuare i modi con cui la Chiesa cattolica, e in particolare la Chiesa greco-cattolica, sempre più efficacemente può dedicarsi alla predicazione del Vangelo, contribuire al sostegno di quanti soffrono e promuovere la pace, d’intesa, per quanto è possibile, con la Chiesa cattolica di rito latino e con le altre Chiese e comunità cristiane”. (Ascolta il servizio con la voce del Papa).
La cosiddetta guerra del Donbass, iniziata nella primavera del 2014 e poi deflagrata in sanguinosi scontri tra le forze ucraine e i ribelli separatisti filorussi, ha causato oltre 10 mila morti e poco meno di 2 milioni di sfollati, secondo i dati 2018 delle Nazioni Unite.
Basta sacrificare la pace per il bene di parte
Papa Bergoglio esprime a tutti vicinanza e preghiera, chiedendo al “Dio di ogni consolazione” di “confortare gli animi di chi ha perduto i propri cari a causa della guerra, di chi ne porta le ferite nel corpo e nello spirito, di chi ha dovuto lasciare la casa e il lavoro e affrontare il rischio di cercare un futuro più umano altrove, lontano”.
Vi ringrazio per la vostra fedeltà al Signore e al Successore di Pietro, spesso costata cara lungo la storia, e supplico il Signore perché accompagni le azioni di tutti i responsabili politici a ricercare non il cosiddetto bene di parte, che alla fine è sempre un interesse a discapito di qualcun altro, ma il bene comune, la pace.
Essere “santi della porta accanto”
Dinanzi “alle complesse situazioni provocate dai conflitti”, la Chiesa è chiamata a rendere “una testimonianza di speranza cristiana”, “che non cede il passo allo scoraggiamento”, e non quella del mondo, che invece “si regge su cose che passano, e spesso dividono”.
La speranza cristiana, alimentata dalla luce di Cristo, fa risplendere la risurrezione e la vita anche nelle notti più oscure del mondo. Perciò, cari Fratelli, ritengo che nei periodi difficili, ancor più che in quelli di pace, la priorità per i credenti sia quella di stare uniti a Gesù, nostra speranza.
Nel lungo e denso discorso, Papa Francesco parla di “eroi del quotidiano” che “hanno risposto al male con il bene”, e di “santi della porta accanto”, che “nel campo violento della storia, hanno piantato la croce di Cristo”.
Questi vostri fratelli e sorelle che hanno subito persecuzioni e martirio e che, stretti solo al Signore Gesù, hanno rigettato la logica del mondo, secondo cui alla violenza si risponde con la violenza, hanno scritto con la vita le pagine più limpide della fede: sono semi fecondi di speranza cristiana.
La forza vibrante della fede
Richiamando il titolo di un programma pastorale adottato alcuni anni fa dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina, “La parrocchia viva, luogo d’incontro con Cristo vivente”, il Pontefice rimarca poi l’importanza di coltivare ogni giorno il legame con il Figlio di Dio: così la Chiesa diventa “feconda”, “annunciatrice del Vangelo della speranza, maestra di quella vita interiore che nessun’altra istituzione è in grado di offrire”. E una “preoccupazione primaria” deve essere la preghiera.
Nella notte del conflitto che attraversate, come nel Getsemani, il Signore chiede ai suoi di “vegliare e pregare”; non di difendersi, né tanto meno di attaccare. Ma i discepoli dormirono anziché pregare e all’arrivo di Giuda tirarono fuori la spada. Non avevano pregato ed erano caduti in tentazione, nella tentazione della mondanità: la debolezza violenta della carne aveva prevalso sulla mitezza dello spirito. Non il sonno, non la spada, non la fuga (cfr Mt 26,40.52.56), ma la preghiera e il dono di sé fino alla fine sono le risposte che il Signore attende dai suoi. Solo queste risposte sono cristiane, esse sole salvano dalla spirale mondana della violenza.
Vicinanza a chi attraversa la notte del dolore
La Chiesa, quindi, è “chiamata a realizzare con vari mezzi la sua missione pastorale”: dopo “la preghiera, viene la vicinanza”, soprattutto a quanti attraversano “la notte del dolore”.
La Chiesa sia il luogo dove si attinge speranza, dove si trova la porta sempre aperta, dove si ricevono consolazione e incoraggiamento. Mai chiusure, con nessuno, ma cuore aperto; mai stare a guardare l’orologio, mai rimandare a casa chi ha bisogno di essere ascoltato. Noi siamo servitori del tempo. Noi viviamo nel tempo. Per favore, non cadere nella tentazione di vivere schiavi dell’orologio! Il tempo, non l’orologio.
Il Pontefice auspica anche una vicinanza materiale, simile a quella che nel 2016 ha coinvolto le Chiese in Europa con una grande iniziativa di solidarietà, “per evitare il pericolo che una grave situazione di sofferenza cada nel dimenticatoio generale”.
Le dimensioni della sinodalità
La terza parola messa a fuoco è “sinodalità”, perché “non basta avere un sinodo, bisogna essere sinodo”, bisogna sforzarsi “di camminare insieme, non solo con chi la pensa allo stesso modo, ma con tutti i credenti in Gesù”. E per ravvivare la sinodalità, precisa Papa Francesco, l’ascolto è un’esperienza fondamentale.
Ascoltare è tanto più importante quanto più si sale nella gerarchia. L’ascolto è sensibilità e apertura alle opinioni dei fratelli, anche di quelli più giovani, anche di quelli considerati meno esperti.
Non meno importante è la “corresponsabilità”.
Non possiamo essere indifferenti di fronte agli errori o alle disattenzioni degli altri, senza intervenire in modo fraterno ma convinto: i nostri confratelli hanno bisogno del nostro pensiero, del nostro incoraggiamento, come anche delle nostre correzioni, perché, appunto, si è chiamati a camminare insieme. Non si può nascondere quello che non va e andare avanti come se nulla fosse per difendere a ogni costo il proprio buon nome.
Infine, sempre nel contesto della sinodalità, Papa Bergoglio parla del “coinvolgimento dei laici” e del respiro universale della Sposa di Cristo.
L’unità nella Chiesa sarà tanto più feconda, quanto più l’intesa e la coesione tra la Santa Sede e le Chiese particolari sarà reale. Più precisamente: quanto più l’intesa e la coesione tra tutti i Vescovi con il Vescovo di Roma. Ciò certamente non deve «comportare una diminuzione nella coscienza della propria autenticità ed originalità» (Orientale lumen, 21), ma plasmarla all’interno della nostra identità cattolica, cioè universale. In quanto universale, essa è messa in pericolo e può venire logorata dall’attaccamento a particolarismi di vario tipo: particolarismi ecclesiali, particolarismi nazionalistici, particolarismi politici.
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