Magistero dei Papi: il peccato di negare il peccato
Laura De Luca – Città del Vaticano
“La causa di ogni male, lo sappiamo, è il peccato, che fin dal suo apparire in mezzo agli uomini ha interrotto la comunione con Dio, con gli altri e con il creato, al quale siamo legati anzitutto attraverso il nostro corpo. Rompendosi la comunione con Dio, si è venuto ad incrinare anche l’armonioso rapporto degli esseri umani con l’ambiente in cui sono chiamati a vivere, così che il giardino si è trasformato in un deserto. Si tratta di quel peccato che porta l’uomo a ritenersi dio del creato”.
Così Papa Francesco nel suo per la Quaresima 2019.
Il peccato interrompe dunque la comunione con Dio. E se il Dio è il Dio della vita, il peccato introduce nel mondo la morte. Ma il mondo contemporaneo difficilmente riconosce la gravità del peccato. Negli anni settanta del secolo scorso, gli anni libertari del “vietato vietare”, anche la percezione del peccato aveva perso importanza. Come sottolineava Paolo VI 苍别濒濒’ del mercoledì delle Ceneri del 1978…
"La morte, quale noi oggi la sperimentiamo, è dunque frutto del peccato: «stipendia peccati mors» (Ibid. 6, 23). È un pensiero difficile da accogliere ed infatti la mentalità profana concordemente lo rifiuta. La negazione di Dio o la perdita del senso vivo della sua presenza hanno indotto molti contemporanei a dare del peccato interpretazioni, a volta a volta, sociologiche, psicologiche, esistenzialistiche, evoluzionistiche, le quali tutte hanno in comune la caratteristica di svuotare il peccato della sua tragica serietà. Non così la Rivelazione, che lo presenta invece come una spaventosa realtà, di fronte alla quale ogni altro male temporale risulta sempre di secondaria importanza. Nel peccato, infatti, l’uomo infrange «il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e verso tutte le cose create» (Gaudium et Spes, 13). Il peccato segna il fallimento radicale dell’uomo, la ribellione a Dio che è la Vita, un «estinguere lo Spirito» (Cfr. 1 Thess. 5, 19); e perciò la morte non ne è che l’esterna, più vistosa manifestazione".
Già diversi anni prima , osservando il disgregarsi del senso morale e l’imbarbarimento dei costumi, Papa Paolo VI non si dava ragione di questa miopia nei confronti del male dilagante nel mondo… del 15 novembre 1972.
"Nulla ci importano le deficienze che sono nel mondo? le disfunzioni delle cose rispetto alla nostra esistenza? il dolore, la morte? la cattiveria, la crudeltà, il peccato, in una parola, il male? e non vediamo quanto male è nel mondo? specialmente, quanto male morale, cioè simultaneamente, sebbene diversamente, contro l’uomo e contro Dio? Non è forse questo un triste spettacolo, un inesplicabile mistero? E non siamo noi, proprio noi cultori del Verbo i cantori del Bene, noi credenti, i più sensibili, i più turbati dall’osservazione e dall’esperienza del male? Lo troviamo nel regno della natura, dove tante sue manifestazioni sembrano a noi denunciare un disordine. Poi lo troviamo 苍别濒濒’ambito umano, dove incontriamo la debolezza, la fragilità, il dolore, la morte, e qualche cosa di peggio; una duplice legge contrastante, una che vorrebbe il bene, l’altra invece rivolta al male, tormento che S. Paolo mette in umiliante evidenza per dimostrare la necessità e la fortuna d’una grazia salvatrice, della salute cioè portata da Cristo".
A fronte della persistenza del peccato, ecco il riscatto offerto da Cristo, dunque. Nell’anno santo del 1950 (ogni giubileo è occasione di remissione dei peccati ) Pio XII guarda in faccia il dilagare di tentazioni di ogni tipo. L’umanità del dopo guerra, che ha vissuto orrori e distruzione senza precedenti, fino a sperimentare il baratro di una possibile guerra atomica totale , sembra volersi stordire con esperienze “di confine”. A riguardo Pio XII è lucidissimo. Gli anni ‘50 non sono solo gli anni dell’entusiasmo per la ricostruzione. E’ già iniziato il processo di “depenalizzazione del peccato”. Quasi che l’uomo avesse diritto a sperimentare il male… Così si esprime Pio XII in occasione del per il cristiano rinnovamento dei costumi e la concordia fra i popoli, il 26 marzo 1950, in pieno giubileo.
"Una serie di spudorate e criminali pubblicazioni apprestano ai vizi e ai delitti i mezzi più obbrobriosi di seduzione e di traviamento. Velando l'ignominia e la bruttezza del male sotto l'orpello della estetica, dell'arte, della effimera ed ingannevole grazia, del falso coraggio; ovvero accondiscendendo senza ritegno alla morbosa avidità di sensazioni violente e di nuove esperienze di dissolutezza; l'esaltazione del malcostume è giunta fino ad uscire palesemente in pubblico e ad inserirsi nel ritmo della vita economica e sociale del popolo, facendo oggetto d'industria lucrosa le piaghe più dolorose, le più miserevoli debolezze dell'umanità".
"Persino alle più basse manifestazioni di questo scadimento morale si osa talvolta cercare una giustificazione teorica, appellandosi ad un umanesimo di dubbia lega o ad una commiserazione, che indulge alla colpa per ingannare e traviare più facilmente le anime".
"Falso umanesimo e commiserazione anticristiana, che finiscono con sovvertire la gerarchia dei valori morali e con attenuare a tal punto il senso del peccato da coonestarlo, presentandolo come normale espansione delle facoltà dell'uomo e quasi arricchimento della propria personalità. È reato di lesa società la cittadinanza data al delitto col pretesto di umanitarismo o di tolleranza civile, di naturale defettibilità umana, quando tutto si lascia correre o peggio si mette in opera per eccitare scientemente le passioni, per allentare ogni freno che promana da un elementare rispetto della pubblica moralità o dal pubblico decoro, per raffigurare coi colori più seducenti l'infrazione del vincolo coniugale, la ribellione alle pubbliche autorità, il suicidio o la soppressione della vita altrui".
Quando “tutto si lascia correre”: il peccato peggiore, che coincide con la mancata distinzione tra bene e male. Benedetto XVI ci riporta però alla misericordia di Dio. del 2010. 17 febbraio:
"Ecco il peccato, malattia mortale entrata ben presto ad inquinare la terra benedetta che è l’essere umano. Creato ad immagine del Santo e del Giusto, l’uomo ha perduto la propria innocenza ed ora può ritornare ad essere giusto solo grazie alla giustizia di Dio, la giustizia dell’amore che – come scrive san Paolo – “si è manifestata per mezzo della fede in Cristo” (Rm 3,22). (…)Scrive san Paolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato – cioè il suo Figlio fatto uomo –, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”.
Dio è misericordioso. E non c’è peccato che non possa essere sanato. E’ un tema molto caro a Giovanni Paolo II, che a questo dedicò una intera enciclica. Ecco le sue del 4 marzo 1981 dalla basilica di Santa Sabina a Roma.
“Come ho scritto 苍别濒濒’enciclica Dives in Misericordia, ‘la conversione a Dio consiste sempre nello scoprire la sua misericordia, cioè quell’amore che è paziente e benigno a misura del Creatore e Padre: l’amore, a cui “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (2Cor 1,3), è fedele fino alle estreme conseguenze nella storia dell’alleanza con l’uomo: fino alla croce – alla morte e risurrezione del Figlio. La conversione a Dio è sempre frutto del “ritrovamento” di questo Padre, che è ricco di misericordia’.”
Ascolta la puntata de “Le voci dei papi” di Radio Vaticana Italia dedicata al tema del peccato del 24 marzo 2019
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