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Papa incontra popoli indigeni: superare individualismi per salvare il pianeta

Di fronte ai flagelli del nostro tempo, dai conflitti armati alle catastrofi naturali, solo il senso di fraternità, il superamento degli interessi economici e un dialogo paziente possono guidare l’aiuto verso chi ha bisogno: questo il senso delle parole del Papa nell’incontro col Forum internazionale dei popoli indigeni, riunito dall’Ifad alla sede della Fao a Roma

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Non possiamo continuare a “ignorare” l’avidità umana, i conflitti armati in corso, i disastri naturali, veri e propri “flagelli” a cui non si può rispondere con l’“indifferenza”, la “mancanza di solidarietà” o rinviando le misure che li affrontino “efficacemente”: solo un “vigoroso senso di fraternità” può muovere all’aiuto di chi ha bisogno, aprendo la porta del domani alle generazioni che ci succederanno. Così il Papa incontrando alla sede della Fao a Roma, in occasione della cerimonia di apertura della 42.ma Sessione del Consiglio dei governatori dell’Ifad, i partecipanti al Forum internazionale dei popoli indigeni.

Questioni ambientali di estrema importanza

Francesco si intrattiene per circa venti minuti con un gruppo di 38 delegati di 31 differenti popoli indigeni provenienti da America, Africa, Asia e area del Pacifico, e saluta uno ad uno i presenti, ricevendo in dono - riferisce la Sala Stampa della Santa Sede - delle stole artigianali. Quindi inquadra la realtà del Forum, creato nel 2011 come piattaforma di dialogo tra Onu, istituzioni internazionali e coloro che vivono nelle aree rurali e più povere del pianeta, che nella quarta riunione di questi giorni si è confrontato sull’utilizzo del sapere e dell’innovazione delle popolazioni indigene per affrontare i cambiamenti climatici e promuovere lo sviluppo sostenibile.

La presenza di tutti voi qui dimostra che le questioni ambientali sono di estrema importanza e ci invita a volgere nuovamente lo sguardo al nostro pianeta, ferito in molte regioni dall’avidità umana, da conflitti bellici che generano una marea di mali e di disgrazie, come pure dalle catastrofi naturali che lasciano al loro passaggio penuria e devastazione. Non possiamo continuare a ignorare questi flagelli, rispondendo ad essi con indifferenza e mancanza di solidarietà, o posponendo le misure che li possono affrontare in modo efficace. Al contrario, solo un vigoroso senso di fraternità rafforzerà le nostre mani per soccorrere oggi quanti ne hanno bisogno e aprire la porta del domani alle generazioni che vengono dietro di noi.

Uomo non è padrone della natura

Ringraziando per l’introduzione Myrna Cunningham - coordinatrice del comitato organizzativo del Forum internazionale dei popoli indigeni presso l’Ifad, che ha salutato poco prima il Papa nella lingua dei miskito del Nicaragua - il Pontefice e ricorda come Dio abbia creato la terra “a beneficio di tutti”, nessuno “escluso”.

Il nostro pianeta è ricco di risorse naturali. E i popoli originari, con la loro copiosa varietà di lingue, culture, tradizioni, conoscenze e metodi ancestrali, diventano per tutti un campanello d’allarme, che mette in evidenza il fatto che l’uomo non è proprietario della natura, ma solo colui che la gestisce, colui che ha come vocazione vegliare su di essa con cura, affinché non si perda la sua biodiversità e l’acqua possa continuare a essere sana e cristallina, l’aria pura, i boschi frondosi e il suolo fertile.

Grido vivente di speranza

I popoli indigeni, sottolinea, sono un “grido vivente” a favore della speranza, ricordando a tutti noi che gli esseri umani hanno una “responsabilità comune nella cura della ‘casa comune’”.

Se determinate decisioni prese finora l’hanno rovinata, non è mai troppo tardi per imparare la lezione e acquisire un nuovo stile di vita. Si tratta di adottare un modo di procedere che, abbandonando approcci superficiali e abitudini nocive o di sfruttamento, superi l’individualismo atroce, il consumismo convulsivo e il freddo egoismo.

Antica saggezza

Le popolazioni indigene - aggiunge a braccio - sanno dialogare con la terra, che oggi soffre, sanno ascoltarla, vederla, toccarla. Conoscono l’arte di vivere in armonia con essa: e ciò devono impararlo anche coloro che sono tentati da una sorta di illusione progressista ai danni della terra. Francesco richiama il detto dei nonni: “Dio perdona sempre, gli uomini a volte perdonano, la natura non perdona mai”, guardando ai maltrattamenti e allo sfruttamento contemporanei. Ai popoli indigeni allora affida il compito di trasmettere tale saggezza ancestrale. Quello che serve, evidenzia il Papa, è unire le forze in un dialogo “paziente e generoso”.

Finiremo col prendere maggiore coscienza del fatto che abbiamo bisogno gli uni degli altri; che un comportamento dannoso per l’ambiente che ci circonda si ripercuote negativamente anche sulla serenità e sulla fluidità della convivenza, che a volte non è stata una convivenza ma una distruzione; che gli indigeni non possono continuare a subire ingiustizie e i giovani hanno diritto a un mondo migliore del nostro e si aspettano da noi risposte coerenti e convincenti.

Oltre gli interessi economici

Ribadendo che la terra non va sfruttata “senza alcun riguardo”, ma lodata, custodita e accarezzata, il ringraziamento del Papa va ai popoli indigeni per aver alzato la “voce” affermando che “il rispetto dovuto all’ambiente deve essere sempre salvaguardato al di sopra degli interessi esclusivamente economici e finanziari”.

L’esperienza dell'Ifad, la sua competenza tecnica, come pure i mezzi di cui dispone, prestano un prezioso servizio per spianare cammini che riconoscano che “uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso”.

Dialogo tra saggezze

Quindi avverte del pericolo esistente nell’immaginario collettivo, quello di una certa superiorità dei cosiddetti popoli civilizzati, rispetto a quelli indigeni: il Papa parla di grande errore a proposito di un progresso sradicato dalla terra. E' necessario, evidenzia, che tali popoli dialoghino tra loro: oggi - conclude - c'è urgente bisogno di un “meticciato culturale” frutto del dialogo tra le rispettive saggezze di tali realtà.

Traduzione di lavoro dal testo originale in spagnolo

 

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Il Papa e il Forum internazionale dei popoli indigeni
14 febbraio 2019, 13:54