Papa e le donne: dignità, rispetto ed equilibrio nelle relazioni
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Dignità è la parola che Papa Francesco evoca da sempre quando affronta il doloroso tema della violenza sulle donne. Un richiamo che trova la sua Magna Carta nella emanata trent’anni fa da san Giovanni Paolo II. Ieri nel , Papa Francesco ha richiamato il documento che già allora metteva in risalto il ruolo della donna per “aiutare l’umanità a non decadere”.
I contesti famigliari difficili
“Duole constatare – ha detto il Pontefice - che nelle nostre società, tante volte caratterizzate da contesti familiari fragili, si sviluppano comportamenti violenti anche nei confronti delle donne”. Francesco ha sottolineato “l’urgenza di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci, nelle quali ciascuno possa esprimere in modo autentico la propria identità, mentre la promozione di talune forme di indifferenziazione rischia di snaturare lo stesso essere uomo o donna”.
La strada tortuosa della speranza
Paola Bonzi fonda 34 anni fa il Centro di aiuto alla vita (Cav), presso la clinica milanese “Mangiagalli”, la sua è un’esperienza di accompagnamento delle donne che scelgono di abortire per povertà, solitudine, abbandono del coniuge. Paola e i suoi collaboratori indicano una strada che all’inizio può sembrare tortuosa ma, in chi ha deciso la via dolorosa dell’interruzione di gravidanza, fanno nascere il seme della speranza. La speranza di farcela, di dire sì a chi non ha scelto di venire al mondo. Ad oggi sono 2.600 le donne seguite per 18 mesi; a loro è assicurata vicinanza, assistenza psicologica, un sussidio economico mensile e, in casi particolari, anche un’accoglienza temporanea. Attualmente il Cav Mangiagalli conta su 2 grandi appartamenti e su 5 mono e bilocali per accogliere mamme singole e coppie di genitori.
Ripensare la relazione della coppia
Rimettere in gioco il rapporto uomo-donna: è uno dei suggerimenti di Paola Bonzi, alla luce della lunga esperienza al Cav Mangiagalli. Offrire nuova linfa e nuova energia alle coppie per riscoprire i valori del rispetto e della famiglia:
R. – Mentre le donne che incontro sono sempre molto coraggiose, gli uomini sono abbastanza assenti. Spesso dicono che il problema è solo della donna; spesso se ne vanno. Tutto questo naturalmente non è proprio sempre così. Alla Mangiagalli c’è un servizio per la violenza domestica. Noi lavoriamo sulle relazioni familiari perché spesso la donna è sopraffatta dalla relazione con il padre del bambino che magari non vuole il bambino. Si tratta di far lavorare i due componenti – la coppia – sui propri vissuti, dicendo però che ciò che noi riceviamo a livello di nozioni personali non rimangono un segreto perché i segreti fanno molto male. Tutto verrà rimesso in gioco nella relazione.
Si parla di dignità della donna, dignità di un bambino che non sceglie di venire al mondo…
R. – No, che non chiede di venire al mondo: viene messo in viaggio, a volte, con poco senso di responsabilità, e poi, siccome lui è piccolo, non era previsto, non era desiderato, viene anche fatto fuori. Quel bambino sta nel posto dove dovrebbe essere più al sicuro che in qualunque altro posto. E invece lì rischia la vita.
Tanti anni, tante storie, tanti incontri: quante sconfitte, quante vittorie nella sua vita?
R. – Su dieci donne che arrivano, almeno otto, ma anche nove, accettano di essere aiutate e quindi cambiano idea, tanto è vero che sono nati 22.150 bambini. Spesso queste donne sono “obbligate” dalla condizione di povertà, se non di miseria, per cui noi tentiamo di capire quali sono le ragioni profonde per tentare di dare delle risposte, e devo dire che non abbiamo mai detto di no a nessuno. Quest’anno a Natale sono venuti tanti bambini a salutarmi, e io tutte le volte che li guardo mi dico che non ci dovevano essere. Se non ci fossimo incontrati chissà dove sarebbero.
Da dove le viene la sua energia? Dov’è il cuore di Paola?
R. – Nasco insegnante di ragazzini con ritardo mentale e questa cosa mi è sempre piaciuta tantissimo. Questo quando ci vedevo. Mi sono ammalata agli occhi e ho perso la vista molto giovane – avevo 23 anni – mi avevano chiesto di non avere più figli. Naturalmente, io dopo qualche mese mi sono ritrovata incinta e questo bambino lo voleva solo la sua mamma. Direi che ho vissuto una gravidanza da persona sola e preoccupata. Sola ma non perché non ci fosse mio marito o la mia famiglia: sola perché una donna quando è incinta vive una relazione molto unica con il proprio figlio. Quando poi è nato, ed era perfetto, io ho detto: “Vorrò aiutare le donne in difficoltà”. Mi sembrava di dover ringraziare la vita e anche la Provvidenza che mi aveva accompagnato.
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