Uganda: dopo incontro col Papa, vescovi rafforzati per sfide di oggi
Giada Aquilino - Città del Vaticano
La gestione e la solidarietà per circa un milione e mezzo di profughi, in stragrande maggioranza sudsudanesi, l’impegno per il contrasto alla criminalità organizzata e alla piaga dei rapimenti a scopo di riscatto, in aumento negli ultimi anni, l’esempio dei martiri ugandesi, i primi Santi africani dell’era moderna ai quali Papa Francesco tributò il proprio di fine 2015. Sono questi i caratteri che contraddistinguono oggi l’Uganda, che nel 2007 ha chiuso una guerra civile ventennale, con un bilancio di almeno 100 mila vittime e oltre un milione di sfollati. All’epoca il sedicente Esercito di liberazione del Signore (Lra) di Joseph Kony utilizzava sistematicamente il saccheggio, la distruzione dei villaggi e l’arruolamento forzato dei bambini e delle bambine, per destinarli alle proprie truppe. Oggi il Paese è profondamente cambiato, ma per la Chiesa locale si aprono nuove sfide. Di queste hanno parlato i vescovi locali con Papa Francesco, lunedì scorso, in occasione della loro visita ad Limina, che giunge oggi al termine. Del colloquio di due ore col Pontefice, riferisce mons. Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira, nel nord dell’Uganda, bresciano d’origine, arrivato nel Paese africano nei primi anni Settanta (Ascolta l'intervista a mons. Franzelli).
R. – Si è trattato di un incontro realmente fraterno. I vescovi, com’è successo con gli apostoli, vengono a trovare Pietro e si scambiano idee, esperienze su come va la Chiesa cattolica in quel pezzo di mondo che è l’Uganda. Un Paese che il Papa ha già visitato: è venuto alla fine del 2015 come pellegrino al Santuario dei martiri dell’Uganda e in quell’occasione ci ha esortati a vivere oggi la testimonianza di quei martiri, di essere gente che ha il coraggio di testimoniare Cristo nella società attuale, in mezzo alle difficoltà che ci sono. E allora, l’udienza ha un po’ echeggiato queste cose che il Papa ci aveva detto e noi gli abbiamo riferito alcuni problemi che ci sono e siamo usciti molto riconfortati e incoraggiati dal suo esempio. Ci ha detto: “Qui i problemi ci sono, stiamo cercando di cambiare, di migliorare, ma io non ho perso la pace”. E quindi questo dà serenità anche a noi perché certo non mancano le sfide in Uganda.
Quali sono le sfide di oggi dell’Uganda?
R. – Siamo in una situazione che non è più quella di anni fa. Nel 2006-2007 è terminata la guerra “guerreggiata” del Lord’s Resistance Army (Lra): adesso l’Uganda, almeno il Nord Uganda, che era la parte interessata a questa tragedia che è durata più di 20 anni, vive in pace, nel senso che non si spara più. Però c’è in atto un altro tipo di guerra: mi riferisco alla questione della terra che la gente aveva abbandonato al tempo del conflitto, cercando rifugio nei campi per sfollati per mesi e anni; poi quando la guerra è terminata, tornando a casa, innanzitutto non hanno più trovato la casa, ma anche i confini dei campi ad esempio erano stati cambiati e le cose spostate. Oppure quelli che avevano avuto il coraggio di tornare prima, si erano messi a coltivare lì. Anche l’esercito, per motivi di sicurezza e per combattere i ribelli, si è preso delle grosse aree, per cui adesso c’è molta tensione, anche all’interno delle stesse famiglie, perché senza terra non si vive. Nel frattempo chi era al potere ha dato in concessione o ha venduto grossi appezzamenti di terreno a grandi ditte e la gente si sente buttata fuori e non ci sta.
Voi vescovi avete sottolineato che ci sono anche altre sfide: quella della criminalità e dei rapimenti che, per esempio, sono aumentati…
R. – Sì, specialmente ultimamente, da un anno a questa parte. Si tratta di rapimenti che nel 90 per cento dei casi finiscono male. Nel senso che, sia che la gente paghi il riscatto sia che non lo paghi, il rapito viene ucciso. E’ un fenomeno che ha a che fare con la criminalità, con la smania di guadagno, ma è difficile discernere se non c’entri anche qualche ragione politica di gruppi avversi gli uni agli altri. E poi, addirittura adesso, ultimamente, ci sono stati casi di fake kidnappings, gente che fa finta di essere stata rapita per ottenere soldi, magari anche dalle famiglie.
L’Uganda ospita oltre 1,4 milioni di profughi provenienti perlopiù dal Sud Sudan…
R. – Sono senz’altro vicini al milione e mezzo ora, di cui più di un milione viene appunto dal Sud Sudan, concentrati soprattutto nel West Nile. In questa tragedia vorrei sottolineare una cosa bella, secondo me, e cioè la capacità di accoglienza dell’Uganda, anche da parte del governo con l’aiuto di organizzazioni internazionali e la Caritas. E pure la capacità di pazienza, di tolleranza da parte della gente locale. Quindi ora si tratta di vedere, di bilanciare un po’ l’aiuto ai rifugiati e anche un aiuto, un supporto alla popolazione locale. Per quanto riguarda l’aiuto della Caritas inoltre si porta avanti un approccio che non solo dà accoglienza, ma - in collaborazione con il governo - fa in modo di dare a ogni immigrato o gruppi di immigrati o famiglie, un pezzo di terreno da coltivare.
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