Il Papa: prego per gli anziani che sono soli e nella paura
VATICAN NEWS
E' un cuore che guarda a tutti, quello del Papa, ogni giorno a qualcuno in modo particolare. La Messa a Santa Marta di stamattina () Francesco la dedica agli anziani che in tempo di restrizioni a causa del Coronavirus sono tra coloro che più di altri patiscono la lontananza dai propri cari.
Io vorrei che oggi pregassimo per gli anziani che soffrono questo momento in modo speciale, con una solitudine interna [interiore] molto grande e alle volte con tanta paura. Preghiamo il Signore perché sia vicino ai nostri nonni, alle nostre nonne, a tutti gli anziani e dia loro forza. Loro ci hanno dato la saggezza, la vita, la storia. Anche noi siamo vicini a loro con la preghiera.
L'omelia è ispirata al Vangelo e al tema del perdono che porta Pietro a chiedere a Gesù quante volte sia lecito perdonare agli altri. Non è facile, riconosce Francesco, che ricorda come vi sia "gente che vive condannando gente". Ma ciò che Dio desidera, afferma, è a "essere magnanimi" a "perdonare, perdonare di cuore". Di seguito il testo dell'omelia:
Gesù viene dal fare una catechesi sull’unità dei fratelli e l’ha conclusa con una bella parola: “Vi assicuro che se due di voi, due o tre, si metteranno d’accordo e chiederanno una grazia, sarà loro concessa” (cfr Mt 18,19). L’unità, l’amicizia, la pace tra i fratelli attira la benevolenza di Dio. E Pietro fa la domanda: “Sì, ma alle persone che ci offendono, cosa dobbiamo fare?”. «Se mio fratello commette colpe contro di me – mi offende – quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (v. 21). E Gesù rispose con quella parola che vuol dire, nel loro idioma, “sempre”: «Settanta volte sette» (v. 22). Sempre si deve perdonare.
E non è facile, perdonare. Perché il nostro cuore egoista è sempre attaccato all’odio, alle vendette, ai rancori. Tutti abbiamo visto famiglie distrutte dagli odi familiari che si rimandano da una all’altra generazione. Fratelli che, davanti alla bara di uno dei genitori, non si salutano perché portano avanti rancori vecchi. Sembra che sia più forte l’attaccarsi all’odio che all’amore e questo è proprio il “tesoro” – diciamo così – del diavolo. Lui si accovaccia sempre tra i nostri rancori, tra i nostri odi e li fa crescere, li mantiene lì per distruggere. Distruggere tutto. E tante volte, per cose piccole, distrugge.
E si distrugge anche questo Dio che non è venuto per condannare, ma per perdonare. Questo Dio che è capace di fare festa per un peccatore che si avvicina e dimentica tutto. Quando Dio ci perdona, dimentica tutto il male che abbiamo fatto. Qualcuno diceva: “È la malattia di Dio”. Non ha memoria, è capace di perdere la memoria, in questi casi. Dio perde la memoria delle storie brutte di tanti peccatori, dei nostri peccati. Ci perdona e va avanti. Ci chiede soltanto: “Fa’ lo stesso: impara a perdonare”, non portare avanti questa croce non feconda dell’odio, del rancore, del “me la pagherai”. Questa parola non è né cristiana né umana. La generosità di Gesù che ci insegna che per entrare in cielo dobbiamo perdonare. Anzi, ci dice: “Tu, vai a Messa?” – “Sì” – “Ma se quando vai a Messa ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, riconciliati, prima; non venire da me con l’amore verso di me in una mano e l’odio con il fratello nell’altra”. Coerenza di amore. Perdonare. Perdonare di cuore.
C’è gente che vive condannando gente, parlando male della gente, sporcando continuamente i compagni di lavoro, sporcando i vicini, i parenti… Perché non perdonano una cosa che hanno fatto a loro, o non perdonano una cosa che a loro non è piaciuta. Sembra che la ricchezza propria del diavolo sia questa: seminare l’amore al non-perdonare, vivere attaccati al non-perdonare. E il perdono è condizione per entrare in cielo.
La parabola che Gesù ci racconta (cfr Mt 18,23-35) è molto chiara: perdonare. Che il Signore ci insegni questa saggezza del perdono, che non è facile. E facciamo una cosa: quando noi andremo a confessarci, a ricevere il sacramento della Riconciliazione, prima chiediamoci: “Io perdono?”. Se sento che non perdono, non devo fare finta di chiedere perdono, perché non sarò perdonato. Chiedere perdono significa perdonare. Sono insieme, ambedue. Non possono separarsi. E coloro che chiedono perdono per sé stessi, come questo signore al quale il padrone perdona tutto, ma non danno perdono agli altri, finiranno come questo signore (cfr vv. 32-34). «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello» (v. 35).
Che il Signore ci aiuti a capire questo e ad abbassare la testa, a non essere superbi, a essere magnanimi nel perdono. Almeno a perdonare “per interesse”. Come mai? Sì, perdonare, perché se io non perdono, non sarò perdonato. Almeno questo. Ma sempre il perdono.
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