Carceri, quando una cooperativa sociale vuol dire riscatto e dignitÃ
Roberta Barbi - Città del Vaticano
Per due anni la prof.ssa Vera Zamagni ha seguito da vicino le attività di Giotto - cooperativa sociale attiva nel carcere Due Palazzi di Padova dal 1986 - ha visto le attività del call center, osservato il lavoro della pasticceria interna all’istituto di pena, analizzato le operazioni della fabbrica di assemblaggio, oltre a leggere conti, registri e bilanci… Il risultato è la pubblicazione “La cooperativa sociale Giotto - una normalità eccezionaleâ€, edito dal Mulino, una storia raccontata con la precisione di un’economista, ma anche con l’entusiasmo di chi crede nelle persone e nelle loro possibilità: “Quando mi è stata fatta questa proposta da un collega di Padova - racconta ai media vaticani - ho accettato perché non mi ero mai occupata di cooperative sociali, figuriamoci di una cooperativa che dà lavoro a persone detenute, invece è importantissimo far vedere che anche in carcere si può fare qualcosaâ€.
La vocazione egualitaria del cooperativismo
La voce con cui la professoressa racconta la storia di Giotto è più che mai autorevole: da 30 anni Zamagni si occupa di studiare e spiegare le cooperative che sono modi alternativi di fare impresa: “In pratica - spiega - nelle cooperative il capitale emesso dai soci dell’impresa non è separato da socio stesso, se ci fossero utili in più potrebbero essere stornati tra i soci, che in genere preferiscono reinvestirli all’interno della cooperativa stessa. Non c’è la massimizzazione dei profitti per gli azionisti, semplicemente perché non ci sono azionistiâ€. Le cooperative sociali nello specifico, poi, sono di due tipi: quelle che forniscono servizi ai cittadini, come asili o mense, e quelle che invece ai cittadini danno lavoro, specie a quelli svantaggiati: “Queste ultime il lavoro devono cercarlo, ma troppo spesso si limitano a rapportarsi con il settore pubblico, mentre è quello privato che offre occasioni miglioriâ€. Giotto questo lo ha capito, tanto è vero che c’è un capitolo intero dedicato ai partner anche stranieri che collaborano con la cooperativa.
Costruire insieme una società migliore
La costruzione di una società più solida e sicura si misura, dunque, anche con l’inclusione di tutti gli attori che la compongono. “Le cooperative sono vincenti - afferma l'autrice del volume - perché hanno un approccio egualitario, abbassano le disuguaglianze perché sanno coinvolgere tutti i soggetti che compongono la societàâ€. Un libro che è un dono, natalizio visto il periodo, ancor di più perché è un dono inaspettato e non richiesto: “Da più parti ci avevano consigliato di raccontare la nostra storia, per questo - dice Nicola Boscoletto, uno dei soci fondatori della Giotto - quando ci hanno detto di questo progetto siamo stati contentissimi. Per noi era fondamentale che a raccontarci fosse qualcuno esterno, per non cadere nell’autoreferenzialitàâ€.
L’ispirazione di don Giussani
Boscoletto è uno di quei giovani laureati che quasi 40 anni fa hanno dato vita al sogno ancora oggi incarnato dalla Giotto: “Cruciale nell’inizio di questo percorso - racconta - fu l’incontro con don Giussani. Lui era orientato a non perdersi neanche un brandello della vita, impegnato a non sprecarne neppure un attimo. Da giovani ci ha trasmesso che l’altro è sempre un bene, una ricchezza anche quando non lo conosciamo. Soprattutto ci ha insegnato a non giudicare, questo spetta al Signore, a noi, invece, spetta donare quello che abbiamo ricevuto, altrimenti non avrebbe valoreâ€.
Di Giubileo in Giubileo
La svolta - anzi una delle tante svolte nel cammino della cooperativa Giotto - arriva con il Giubileo della Misericordia nel 2016: “Su spinta di alcuni amici e di alcuni soci abbiamo aperto allora anche un’organizzazione di volontariato. All’improvviso - ricorda Boscoletto - il nostro obiettivo è diventato, come dice il Papa, non considerare più le persone detenute come un oggetto della nostra attenzione, bensì come soggetti attivi del proprio recupero, soprattutto quelli che lavoravano con noiâ€. Il lavoro, dunque, che torna come elemento capace di dare dignità all’uomo, anche se l’uomo in quanto tale spesso è messo ai margini della società. “Sta per aprirsi un nuovo Giubileo dedicato alla speranza, una virtù - osserva Boscoletto - che è sempre più difficile da portare ai reclusi. In questo momento storico i detenuti, come pure i migranti sono usati non aiutati, come dice il Santo Padre, ‘ci si serve di loro, non sono serviti’. Perciò le parole non bastano, soprattutto se non saranno seguite da testimonianze e gesti concreti da parte delle persone che governano. Poi il Signore fa comunque germogliare la speranza nei nostri cuori, ma questa è un’altra cosaâ€.
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