Immaginare nuovi passaggi sicuri dalla Libia, le voci dei rifugiati
di Beatrice Guarrera
Lo raccontano i loro occhi, i loro corpi, le voci che si spezzano, se ripensano a quello che hanno subito e alle persone che hanno lasciato indietro: i rifugiati provenienti dalla Libia sono testimoni di costanti violazioni di diritti umani e di una battaglia per la sopravvivenza quotidiana. «Chiediamo solo di essere riconosciuti come esseri umani», afferma Naeima. Anche lei è tra i partecipanti alla due giorni intitolata “Da Tripoli a Roma. Immaginare e costruire nuovi passaggi sicuri”, iniziata ieri, venerdì 31 maggio, alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e che si conclude oggi allo Spin Time Labs. L’obiettivo del convegno — convocato da Refugees in Libya, organizzazione nata nel 2021 da un gruppo di rifugiati in Libia, e da Alliance for Refugees in Libya, network internazionale nato per amplificare la loro voce — è individuare ed implementare vie di accesso sicure e legali dalla Libia all’Europa per quanti, dopo essere stati costretti a fuggire dai loro Paesi di origine, rimangono “bloccati” dall’altra parte del Mediterraneo, vengono imprigionati in centri di detenzione e subiscono trattamenti disumani. Alla Pontificia Università Gregoriana si è parlato ieri, venerdì 31 maggio, di corridoi umanitari, delineandone lo stato dell’arte e le prospettive di sviluppo, in dialogo con rappresentanti di Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche, Arci, Agenzia ONU per i Rifugiati (Unhcr), Roma Capitale. Nella giornata di oggi allo Spin Time Labs si svolgono, inoltre, workshop sulle nuove sfide alla libertà di movimento, tra esternazionalizzazione dei confini e screening alla frontiera.
L’esperienza di Refugees in Libya
«Oggi siamo a Roma sotto il titolo “Da Tripoli a Roma” — spiega ai media vaticani David Yambio, fondatore di Refugees in Libya —. È un messaggio, è un invito per la gente comune europea, per i cittadini di Roma, per i politici di Roma, per le istituzioni, per le organizzazioni umanitarie, per i membri della Chiesa, per il nostro Papa qui a Roma, affinché la gente di Tripoli venga riconosciuta, ascoltata. Vorremmo che fornissero assistenza, vorremmo che aprissero corridoi umanitari, vorremmo che riconoscessero il dolore di cui soffre questa gente, perché la maggior parte di loro, la maggior parte di noi, è composta da rifugiati in fuga dal Sudan, dal conflitto in Congo, e ancora da Tripoli a Roma». L’appello del difensore dei diritti umani si rifà a quello del 1° ottobre 2021 quando, dopo una repressione di massa, un gruppo di rifugiati in Libia decise di organizzarsi e protestare contro le ingiuste condizioni di vita, per oltre 100 giorni davanti alla sede dell’Unhcr di Tripoli. In quei giorni Papa Francesco — ricorda Yambio — in piazza San Pietro, al termine dell’Angelus di domenica 24 ottobre 2021, disse: «Aiutiamo i rifugiati in Libia, sento le loro grida» e «Lì ci sono dei veri lager».
«Oggi — continua Yambio — bussiamo alla porta di ogni persona, bussiamo alla porta di Papa Francesco. Lo abbiamo incontrato l’anno scorso a novembre. Abbiamo ricevuto un’accoglienza calorosa ed è un’esperienza che dovremmo moltiplicare. È un’esperienza che dovrebbe estendersi anche alle persone che ora sono incarcerate in Libia, perché crediamo nella solidarietà. Le persone che si trovano in Libia sono bloccate e vengono punite per il loro lavoro di difensori dei diritti umani. Hanno invece bisogno di essere riconosciute e i cittadini di Roma devono accoglierli, in collaborazione con Sant’Egidio, con l’Unhcr, con lo Stato italiano».
Fuggito dal Sudan in guerra, David Yambio in Libia ha vissuto «un’esperienza fatta di incubi, incubi che provengono dalla tortura, incubi che provengono dalla schiavitù, dal lavoro forzato, dalla detenzione arbitraria, e dalla mancanza di cibo, dalla mancanza di acqua potabile, dall’incarcerazione». Secondo dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), oggi sono oltre 700mila i migranti presenti in Libia, che dunque vivono una condizione precaria e sono esposti a possibili violazioni dei diritti umani. «Per venire in Europa — continua David — ho dovuto rischiare la vita sul Mediterraneo, un mare che ha causato la morte di più di trentamila persone dal 2015 ad oggi. Questo dovrebbe fare appello alla nostra coscienza: nessuno dovrebbe essere costretto, come nella mia esperienza, a rischiare la vita sul Mediterraneo».
Amplificare le voci e costruire corridoi umanitari
«Queste due giornate per noi sono molto importanti, perché noi nasciamo proprio per amplificare, dare la parola a questo gruppo spontaneo di rifugiati, che si è costituito nell’ottobre 2021, che si trovano “incastrati” in Libia», spiega Aldo Ciani, di Mediterranea Saving Humans, parte di Alliance for Refugees in Libya. «In questa tappa romana chiedono l’evacuazione di queste persone. E quindi oggi noi abbiamo coinvolto le associazioni che in questi anni hanno animato e prodotto questa meravigliosa esperienza dei corridoi umanitari, insieme all’Unhcr, alle istituzioni di Roma capitale, per immaginare per loro un futuro differente».
Su questo lavora da anni, infatti, la Comunità di Sant'Egidio, con i corridoi umanitari che puntano ad evacuare i più vulnerabili, come spiega la sua rappresentante Valeria Gutterez: «I corridoi umanitari nascono inizialmente per i profughi siriani tra il 2015-2016 e poi si sono evoluti ad accogliere profughi provenienti anche da altri contesti, tra cui gli afgani. In Libia — osserva — abbiamo firmato due protocolli: il primo protocollo per 500 profughi che sono già arrivati e si sono già inseriti nella nostra società; ultimamente un secondo protocollo per mille cinquecento profughi in tre anni. Si sono realizzati già due arrivi con persone che hanno delle vulnerabilità enormi, perché hanno un vissuto drammatico in Libia e che adesso stanno facendo il loro percorso di integrazione».
Quello dei corridoi umanitari è un frutto di un’intesa ecumenica: «È una storia molto bella di collaborazione tra Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche e tavola valdese, che poi si è allargata ad altri soggetti, alla conferenza episcopale italiana», oltre alla moltiplicazione della solidarietà tra cittadini e reti di sostegno. Dunque, la speranza è tutta lì: nonostante ci sia ancora molto lavoro da fare, per aumentare il numero di coloro che arrivano con i corridoi umanitari, per potenziare l’accoglienza in Italia, «c’è ancora la possibilità di riparare i danni — come afferma Yambio — di ricostruire i sogni delle persone migranti».
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