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"Bisogna smettere di armare il mondo", un nuovo libro di Augusto D'Angelo

Il volume, edito dalla Fondazione Giorgio La Pira, propone al lettore il carteggio tra Giulio Andreotti e Giorgio La Pira in un lasso di tempo pari a quasi tre decenni. La prefazione è del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. L'autore: alcune lettere sembrano scritte oggi

Andrea De Angelis - Città del Vaticano 

"Grazie delle tue iniezioni di cristiano ottimismo". Poche righe, firmate Giulio Andreotti. In una delle estati più calde del decennio, il 20 agosto 1976, l'allora Presidente del Consiglio italiano (da appena tre settimane era iniziato il suo secondo mandato) invia queste poche righe al deputato Giorgio La Pira. Meno di dieci parole, perché tra chi si scrive da oltre un quarto di secolo è così che funziona. Il carteggio tra La Pira, tra i principali artefici della Carta Costituzionale, per tre volte sindaco di Firenze e poi deputato, ed Andreotti, il politico con il maggior numero di incarichi governativi nella storia della Repubblica - ben 7 volte a guida del Governo e 34 in qualità di ministro - è l'oggetto del volume "Bisogna smettere di armare il mondo", di Augusto D'Angelo, Ordinario di Storia Contemporanea a La Sapienza di Roma, edito dalla Fondazione Giorgio La Pira. L'autore è stato ospite della trasmissione Radio Vaticana con Voi. 

Ascolta l'intervista ad Augusto D'Angelo

Profezia e concretezza

È l'ottimismo uno degli elementi presenti in quella che D'Angelo definisce "una politica di ispirazione cristiana", provando a riassumerla in due termini: profezia e concretezza. Il rapporto tra i due ha inizio negli anni Trenta del XX secolo, quando in Italia vi era ancora il regime fascista. La prima missiva risale però al novembre 1950 ma, nota l'autore, "è evidente il riferimento a lettere precedenti che non sono negli archivi". Dunque le 165 lettere conservate sono una parte del carteggio tra due dei principali esponenti politici dell'allora Repubblica italiana. L'amicizia tra i due nasce prima della fine della seconda guerra mondiale, con l'avvento a Roma di un'iniziativa che La Pira aveva ideato e promosso anni prima nella sua Firenze. 

La Messa del povero

Anche senza la Messa del povero, Andreotti e La Pira si sarebbe certamente incontrati, i loro ruoli politici non potevano separarne le strade. Eppure fu quella iniziativa a dar vita ad una frequentazione più assidua tra i due. Nella testimonianza per la causa di beatificazione di La Pira, Andreotti, di lui più giovane di 15 anni, afferma che quella Messa "era un'esperienza nuova. Preghiera in comune, omelia brevissima, un caffè e latte e il resto del mattino a parlare con quegli sfortunati della vita. Ci erano grati perché li ascoltavamo, potevano sfogarsi, sognare insieme possibili inversioni di rotta nella loro vita disagiata". La Pira definirà quella Messa del povero "non affatto un'elemosina, ma una misteriosa comunione di grazia e di gioia", sottolineando come "il nostro apostolato esige che noi chiamiamo alla Messa sia i ricchi che i poveri". Un'attenzione agli ultimi, quella di La Pira, che sarebbe proseguita nel corso degli anni. 

Artigiani di pace

D'Angelo sottolinea come la grande attenzione per gli scenari internazionali ha caratterizzato tanto la vita di Andreotti quanto quella di La Pira. Il capo del Governo non fece mancare il sostegno al sindaco di Firenze, per il quale il capoluogo toscano era chiamato a svolgere il ruolo di grande laboratorio di dialogo e incontro in nome della sua storia, delle bellezze ereditate e della sua radice cristiana. L'autore del volume ricorda in particolare tre momenti. I cinque Convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana (1952-1956), che nell'ultima edizione contava delegazioni provenienti da 61 Paesi. Il Convegno dei sindaci delle capitali del mondo, che nel 1955 - in piena guerra fredda - mise insieme anche il primo cittadino di Mosca e quelli di alcuni comuni statunitensi. Infine, i Colloqui Mediterranei, nel tentativo di far dialogare le tre famiglie religiose delle sponde mediterranee. Non mancarono però, con il passare degli anni, anche frizioni e opinioni diverse tra i due leader politici. "Pur essendo entrambi convinti del valore supremo della pace, la visione profetica di La Pira - scrive D'Angelo - e la lealtà alle intese internazionali di Andreotti, uomo di governo, creavano evidenti elementi di distanza", con quest'ultimo pronto a ribadire "una fedeltà atlantica senza esitazioni". 

La cultura per tutti

"Carissimo Andreotti, tante volte mi hai promesso qualche lira per i concerti di Palazzo Vecchio, gratis per il popolo. Perché non mi aiuti? Per voi un milione più o meno non significa nulla, per me è la vita della città". Nel luglio del 1952 La Pira scriveva così all'allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo. In altre lettere parlerà di "musica gratis per tutti", che vuol dire "tanta gioia e tanta efficacia sociale per molti". Anni dopo La Pira scriverà ad Andreotti per il recupero di caserme, fortezze, per rendere migliore la città. In una lettera del 1961 si coglie tutto lo spirito delle richieste: "Carissimo Andreotti, ministro della Difesa. Di che? Della bellezza teologale della città cristiana, riflesso della bellezza di Dio e sigillo della nostra civiltà". La città, dunque, è "cristiana" se in grado di offrire a tutti i suoi abitanti quella bellezza e sapienza che riflette il volto stesso di Dio. 

Il video dell'intervista ad Augusto D'Angelo

La casa e il lavoro

Numerose lettere di La Pira ad Andreotti riguardavano il tema del lavoro e della casa, in particolare la difesa dei diritti degli operai ed il diritto ad una abitazione, nel tentativo di arginare il dramma degli sfratti. Non tutte le richieste, è evidente, venivano esaudite. La Pira scriveva chiaramente che "tutti i cristiani che costituivano la classe dirigente nuova" dovevano misurarsi col tema dell'occupazione, della casa, dei bisogni familiari, dell'alimentazione, e che si era chiamati a fare "uno sforzo gigantesco" per rispondere a tali questioni. "Bisogna fare - diceva - un nuovo vestito, proporzionato alla persona umana, il che significa fondare in tutti il rispetto della persona umana medesima". 

L'ultimo incontro 

Andreotti incontrò per l'ultima volta Giorgio La Pira il 5 febbraio 1977. Qualche giorno dopo La Pira inviò ad Andreotti un telegramma: "Prego perché il Signore ci aiuti a condurre la barca italiana che nonostante anse terribili come la violenza e l'aborto, deve nuovamente arrivare al porto della fraternità e della pace per la difesa delle nuove generazioni". Dopo quell'incontro la corrispondenza tra i due si concentrò principalmente proprio sul tema dell'aborto, ma D'Angelo nota come una lettera, datata 11 agosto 1977, risulta oggi particolarmente significativa. Scritta due giorni dopo la commemorazione a Nagasaki del lancio della seconda atomica, recita: "Comincio dalla conclusione. Andreotti deve impegnarsi, a nome dell'Italia, contro la bomba al neutrone. A qualunque costo bisogna smettere di armare il mondo per distruggerlo". Giorgio La Pira morirà tre mesi dopo, Andreotti scriveva queste parole nel suo diario: "La Pira è certamente un santo, ma anche un duro". 

La prefazione di Zuppi

"Il loro era un legame caratterizzato da un apostolato indiscusso, dalla necessità di tradurre in risposte politiche l'ispirazione cristiana", scrive il cardinale Matteo Zuppi nella prefazione del volume. Il presidente dei vescovi italiani sottolinea come "Giulio Andreotti non era Giorgio La Pira", ma comprendiamo come "caratteri diversissimi possono collaborare assieme". Zuppi ricorda come Andreotti abbia sottolineato, commemorando La Pira, le numerose intuizioni avute, sia a livello nazionale che internazionale. In particolare, l'idea dei colloqui tra cristiani, ebrei e islamici, definita dal politico "estremamente positiva". "Certo - scrive il presule - talvolta le posizioni dei due portavano a qualche attrito,  ma c'era una profonda tessitura d'amicizia, una comune responsabilità che li legava in un 'noi' chiamato a trovare le risposte più opportune ai problemi del tempo". Zuppi ricorda ai lettori che "quando manca una motivazione capace di accompagnare sensibilità diverse e di farle concorrere allo stesso obiettivo, si sciupano facilmente le opportunità, scadendo spesso in un protagonismo volatile e pericoloso". Invece, è la conclusione del porporato, "la dottrina sociale della Chiesa, vissuta più che dichiarata, consente anche questa collaborazione, che offre ancora oggi tante indicazioni di metodo e contenuto". 

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20 marzo 2024, 09:54