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Sudan, fumo nero su una zona di scontri armati Sudan, fumo nero su una zona di scontri armati  (AFP or licensors)

Sudan, i civili nella morsa di un conflitto brutale

Due generali in lotta, 300 giorni di combattimenti, e lo spettro di un nuovo Darfur per una guerra che mirando alla gestione delle ricchezze locali - uranio, oro e petrolio - annienta la vita di milioni di persone

di Giada Aquilino

Uno scontro brutale tra le principali fazioni al potere a Khartoum, l’esercito comandato da generale Abdel Fattah al-Burhan, e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, degenerato il 15 aprile 2023 in una guerra aperta. Il Sudan è lacerato da quasi dieci mesi di conflitto per il quale, ha dolorosamente constatato Papa Francesco nelle ultime settimane, «non si vede ancora una via di uscita».

Dalla capitale sudanese la guerra si è poi estesa nell’ovest e nel sud del Paese dell’Africa nord-orientale e, più recentemente, verso l’est, dove si trova Port Sudan, unico scalo marittimo e aeroportuale funzionante, finora in parte risparmiato dalle operazioni belliche. La contesa tra i due generali, cominciata con disaccordi sull’integrazione delle varie forze nell’ambito di un mai avvenuto passaggio a un governo civile dopo l’uscita dalla scena politica nel 2019 di Omar al-Bashir, per trent’anni al potere, si intreccia alle lotte — non solo nazionali — per la gestione delle ricchezze locali, uranio, oro e petrolio, nonostante Khartoum abbia perso risorse ed entrate vitali dopo la nascita del Sud Sudan indipendente nel 2011.

I bombardamenti aerei dell’aviazione e dei colpi dell’artiglieria sudanese da una parte e degli attacchi a basi militari, sedi istituzionali e ospedali attribuiti ai paramilitari dall’altra, sono rimasti dunque inizialmente circoscritti: interessate l’area metropolitana di Khartoum, che comprende le città gemelle al di là del fiume Nilo, Bahri e Omdurman, e la regione occidentale del Darfur, mai risollevatosi dalle conseguenze della disastrosa guerra dei primi anni Duemila, con un bilancio di 300.000 morti. Ad essere colpita, indistintamente, la popolazione civile, già tra le più povere del continente.
 

La prolungata carenza di acqua ed elettricità, oltre all’insicurezza e alle prime denunce di violenze generalizzate, abusi sessuali, scontri a base etnica — proprio nel Darfur, per il quale già a novembre l’Onu aveva denunciato «atrocità, stupri, sparizioni, gravi violazioni dei diritti umani», evocando «dinamiche simili» a quanto avvenuto nella regione vent’anni fa — hanno poi spinto gente stremata e disperata a fuggire in altre zone del Paese, meno coinvolte dai combattimenti, e oltre i confini nazionali, verso Egitto, Etiopia, Ciad, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana. Oggi le cifre fornite dalle Nazioni Unite, intrecciate a stime della ong statunitense Acled, che monitora i conflitti, parlano di almeno 12.000 morti e oltre 10 milioni di profughi e sfollati.

Il Programma alimentare mondiale ha lanciato l’allarme per 18 milioni di persone in tutto il Sudan — su oltre 45 milioni di abitanti — che soffrono attualmente condizioni di fame acuta. E l’ampliarsi dei combattimenti anche nel granaio del Paese, lo Stato di Gezira, ha peggiorato la crisi, ora dilagante. «Dieci mesi di conflitto hanno privato la popolazione del Sudan di quasi tutto: la loro sicurezza, le loro case e i mezzi di sostentamento», ha dichiarato il sottosegretario generale dell’Onu per gli Affari umanitari, Martin Griffiths. Le ostilità intense continuano a danneggiare le infrastrutture civili cruciali negli Stati colpiti dal conflitto, quindi pure in Kordofan e nel Nilo Bianco. Circa 19 milioni di bambini sono al momento fuori dalla scuola.
 

È proprio per loro che l’Unicef ha richiamato nelle ultime ore l’attenzione internazionale, per evitare una vera e propria catastrofe generazionale. La più grande crisi di sfollamento di bambini al mondo — circa 3 milioni, oltre ai 2 milioni generati da emergenze precedenti — e un sistema sanitario in frantumi minacciano di uccidere molti più minori dello stesso conflitto armato, ha riferito il fondo Onu per l’infanzia. Si prevede che quest’anno 3,5 milioni di piccoli soffriranno di malnutrizione acuta.

Oltre il 70% delle strutture sanitarie non è più in funzione e due terzi della popolazione non ha accesso all’assistenza medica. Il numero di casi di colera è più che raddoppiato a gennaio, con oltre 10.000 casi sospetti e 300 morti, il 16% bambini sotto i 5 anni. Ci sono stati anche focolai di morbillo. «La combinazione letale di malnutrizione, sfollamento di massa e malattie cresce giorno per giorno e abbiamo una finestra estremamente breve per evitare una massiccia perdita di vite», ha dichiarato Catherine Russell, direttrice generale dell’Unicef. «Abbiamo bisogno di un accesso umanitario sicuro, sostenuto e senza impedimenti e abbiamo bisogno di supporto internazionale», ha aggiunto.

Proprio l’accesso umanitario per una distribuzione degli aiuti internazionali era stato al centro di vari cicli di negoziati per un cessate-il-fuoco, mediati a Jeddah da Arabia Saudita e Stati Uniti. Dopo diverse tregue mai del tutto rispettate sul campo, con accuse reciproche di violazioni agli accordi tra esercito sudanese e paramilitari, la guerra ha superato il trecentesimo giorno. L’appello, anche in questo momento, non può che rimanere quello lanciato più volte dal Pontefice, affinché si favorisca «l’accesso degli aiuti umanitari» e si lavori «alla ricerca di soluzioni pacifiche», procedendo sulla «strada del dialogo».

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10 febbraio 2024, 14:53