A Castelfranco un recluso cuce i sai per i frati Cappuccini
Roberta Barbi – Città del Vaticano
La riabilitazione dell’uomo passa anche per ago e filo. Un detenuto della casa di reclusione di Castelfranco Emilia, originario del Gambia, già abile sarto prima di entrare in carcere, con l’aiuto di due volontarie, ha dato vita a un originale laboratorio sartoriale in cui si confezionano abiti per i frati, ma anche camicine da battesimo e altri prodotti. L'iniziativa rappresenta un unicuum finora in Italia, e conferma l’istituto di pena della cittadina un vero e proprio fiore all’occhiello per le tante attività proposte ai suoi ospiti. Finora vengono prodotti solo gli abiti per i frati Cappuccini, ma si spera quanto prima di ampliare l’offerta anche al resto della famiglia francescana, vale a dire a Frati Minori e Conventuali: una volta realizzati, i sai vengono venduti on line sul sito della cooperativa Giorni Nuovi, ma l’idea è venuta al cappellano della struttura, come racconta proprio fra’ Felice Lanza a Pope: “Qualche anno fa, al convegno di tutti i cappellani delle carceri, in un momento di condivisione delle attività, venni a sapere che a Poggioreale i detenuti cucivano i paramenti liturgici e così ho pensato: perché non fare qualcosa anche da noi?”.
L’incontro con la cooperativa Giorni Nuovi
Si sa che, però, neppure le buone idee si realizzano da sole, così fra’ Felice ha contattato la cooperativa Giorni Nuovi di Modena, aderente a Confcooperative Terre d’Emilia – una realtà costituita nel 2015 ma con diversi anni di volontariato penitenziario alle spalle – che ha sposato il progetto e lo finanzia attraverso parte del ricavato di vendita di altri prodotti quali le camicine per i battesimi, ma anche cuscini, oggetti in stoffa per gli addobbi natalizi, borse e portapane. Insieme sognano in grande: “In futuro vorremmo produrre anche le tuniche per le prime comunioni o le vesti per i diaconi – continua il frate - ma soprattutto ci piacerebbe realizzare un laboratorio esterno alle mura detentive, un posto dove i detenuti che sanno cucire possono lavorare e dormire, una sorta di struttura cuscinetto tra il carcere e la società per coloro che arrivano al delicato momento del fine pena”.
Il saio: segno di povertà e vicinanza agli ultimi
Per adesso i clienti si limitano a qualche parrocchia e qualche convento, che possono acquistare sul sito , ma fra’ Felice Lanza spera che soprattutto grazie al passaparola tra i frati la clientela diventi sempre più ampia: “Il saio per noi frati è un segno di consacrazione e di fraternità, ma anche di povertà e di penitenza – conclude – il frate che indossa il nostro saio è consapevole della sofferenza delle mani che l’hanno cucito, perciò portarlo diventa anche segno di vicinanza e dono di speranza verso questo fratello che è in carcere”.
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