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Dimostrazione in Burkina Faso Dimostrazione in Burkina Faso 

Francia: entro un mese via dal Burkina Faso

La Francia ha comunicato di voler ritirare il proprio contingente militare dal Burkina Faso, aderendo alle richieste di Ouagadougu. Sul momento di crisi nei rapporti tra Parigi e il Paese africano il parere Marco Di Liddo del Cesi: il Burkina protesta per affermare la propria sovrannitĂ , ma anche contro la povertĂ 

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Il governo del Burkina Faso assicura che non verranno messi in forse i rapporti con la Francia, ma la richiesta fatta a Parigi di ritirare le truppe dal territorio del Paese africano di certo cambia le carte in tavola nelle relazioni tra ex colonia e potenza coloniale. Nelle strade della capitale Ouagadougu si protesta per salvaguardare la sovranità e si esorta l’esecutivo a tessere rapporti con altre grandi potenze, come la Russia.  Parigi ha fatto sapere che ritirerà il suo contingente militare entro un mese. Per la Francia è un momento di difficoltà nei rapporti con l’Africa. L'anno scorso ha già dovuto ritirare le proprie truppe dal Mali e ora è possibile che trasferisca i militari dal Burkina in Niger, dove già si trovano quasi 2 mila soldati transalpini e dove è forte la tensione a causa delle scorribande di gruppi terroristi. 

Ottimizzare i rapporti tra ex colonie ed ex colonizzatori

I motivi della situazione che sta vivendo il Burkina Faso vanno ricercati nel passato e nei nuovi rapporti tra ex colonie ed ex Paesi colonizzatori, relazioni per le quali c’è stato un cambiamento solo di facciata. E’ l’analisi di Marco Di Liddo, esperto di tematiche internazionali del Centro Studi Internazionali (Cesi), esposta nell’intervista a Radio Vaticana –Pope.

Ascolta l'intervista a Marco Di Liddo

Di Liddo, quali le cause delle frizioni tra Francia e Burkina Faso?

Non dobbiamo compiere l'errore di giudicare quanto accade in un Paese soltanto guardando lo spettro temporale dell'ultimo anno o degli ultimi due anni. Dobbiamo invece vedere tutta la parabola storica. Con riferimento al Burkina Faso, non dobbiamo mai dimenticare che stiamo parlando del Paese che ha dato i natali a Thomas Sankara, una sorta di Che Guevara africano che ha voleva guidare il Paese alla liberazione dalla Francia. E quello che vediamo oggi in Burkina, Faso è l'ennesimo tentativo di affrancamento e di distanziamento dagli ex potentati coloniali.


Il Burkina Faso è uno dei Paesi più poveri al mondo. Quanto c'è di sociale di economico nelle proteste di questi giorni?

C’è molto. In termini assoluti, il Burkina Faso fa registrare una grave crisi in quanto a Pil globale e Pil pro capite, però è un territorio ricco di risorse, in particolare di oro, di terre rare e di diamanti, la cui esplorazione sistematica è iniziata soltanto di recente. Questo vuol dire che il Burkina può emanciparsi nel medio o lungo periodo da questa condizione di povertà, ma per farlo deve lavorare non solo sulla ricchezza in termini assoluti, ma anche sulla redistribuzione della stessa. Oggi abbiamo gravissimi problemi di distribuzione della ricchezza in Burkina Faso e quindi le proteste derivano da questa condizione di alienazione economico-sociale e in questo contesto le leadership politiche burkinabè, che certe volte non hanno le risposte adeguate nell'immediato, tirano fuori l'argomento dell’anticolonialismo e del sentimento antifrancese per cercare di rimediare a loro lacune di tipo strategico e sistemico.


La Francia l'anno scorso ha dovuto ritirare i suoi soldati dal Mali, lo dovrà fare anche col Burkina Faso per poi ritirarsi in Nigeria, dove c'è ancora un folto contingente di soldati transalpini…

L’errore più grave di Parigi è stato quello di dare un’enfasi troppo forte allo strumento militare, come panacea di tutti i mali della regione. Cioè l'approccio francese è stato un approccio securitario e muscolare, che ha cercato di utilizzare la forza per andare a neutralizzare i gruppi jihadisti e i gruppi di insorgenza etnica. Però dal punto di vista degli interventi per superare i fattori all'origine della radicalizzazione, della povertà e dell'insorgenza etnica, l’Eliseo non ha fatto abbastanza. Se a questo aggiungiamo che il modus operandi francese purtroppo non si è emancipato totalmente, almeno nei simboli e nel modo di fare, dalla tradizione coloniale, questo aumenta la percezione negativa della Francia nelle ex colonie. Quindi rende molto complicato il dialogo da parte dei diversi governi, e molto complicata l'accettazione da parte della società civile delle ex colonie di questo ruolo perdurante della Francia.


E’ auspicabile che le frizioni tra Parigi e Ouagadougu si ricompongano dato che il Paese africano sta guardando anche verso altre alleanze?

Si, ad esempio, la Russia sta raccogliendo quello che ha cominciato a seminare nel 2015, con il summit Africa-Russia di Sochi, e già ha una presenza in Mali, per esempio, nel settore minerario, nel settore della sicurezza e questo avuto un’eco anche un in Burkina Faso, dove aziende minerarie russe già controllano l’estrazione dell’oro in almeno tre o quattro siti auriferi di primaria importanza. Il vero problema del rapporto tra Francia e leadership ex coloniale e che per i transalpini è anche difficile dialogare con governi espressione di giunte militari, cosa che abbiamo sia in Mali, sia in Burkina Faso. Parigi si trova davanti ad un bivio: o ignorare totalmente le esigenze di liberalizzazione, che la società civile maliana e burkinabè chiede a gran voce, e quindi sostenere quei governi autoritari, comportandosi come altre potenze globali, oppure realizzare una rottura e quindi continuare a seguire l'onda europea che vuole una cooperazione vincolata al miglioramento della governance e dei diritti umani. La seconda opzione è la più difficile, ma è quella che nel lungo periodo porterebbe maggiori benefici tanto ai Paesi africani, quanto ai Paesi europei.

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26 gennaio 2023, 09:00