Padre Paolo, parroco a Kiev: per la rinascita servono riconciliazione e perdono
Stefano Leszczynski – Città del Vaticano
Padre Paolo è un sacerdote degli Oblati di Maria Immacolata di Kiev, parroco della Chiesa di San Nicola, arrivato a Roma per il Capitolo generale della sua Congregazione. Nell’intervista che ha concesso a Radio Vaticana - Pope cerca di spiegare - come ha fatto con i suoi confratelli a Nemi - quello che la guerra ha provocato nella società ucraina e cosa significhi convivere con le ferite insanabili provocate dal conflitto.
Non c’è spazio per gioire in guerra
In Ucraina il sentimento prevalente è quello della tristezza e neppure le notizia positive che arrivano dai campi di battaglia portano sollievo. “Gli allarmi e l’intensità degli attacchi negli ultimi giorni sono aumentati e quindi lo stato d’animo è sempre lo stesso ormai da sette mesi: preoccupazione, angoscia, paura. Quando sono arrivato a Roma per il Capitolo generale a Nemi le prime notti mi svegliavo di soprassalto per poi rendermi conto che non ero in zona di guerra, non c’erano allarmi, non dovevo correre nei rifugi sotterranei.” La notizia delle annessioni illegali, la minaccia atomica, l’insostenibile aumento dei prezzi dei beni di prima necessità – in alcuni casi gli aumenti sono stati del 400% - sono fonte di una sofferenza costante. “Il nostro – spiega padre Paolo - è un tempo di attesa quotidiano perché la guerra finisca al più presto".
Sradicare l’odio sarà la priorità dopo la guerra
Ovunque siano arrivati i russi l’orrore viene a galla. Un terzo del Paese è stato devastato e le testimonianze di violenze e torture si moltiplicano costantemente. Quello che il mondo ha visto a Bucha, Irpin e Vorzel, a Borodjianka si è ripetuto in decine di altre località. “Io come parroco di San Nicola sono stato tra i primi ad arrivare a Bucha per portare degli aiuti e dopo aver visto quello che era accaduto non potevo più dormire. Sembrava di calpestare una Terra Santa, un luogo di martirio dove la terra sulla quale cammini è intrisa del sangue di vittime innocenti. Certo, Gesù ci indica la via: pregare per chi ci perseguita e questa è la strada del perdono cristiano. Gesù ha perdonato sulla Croce: perdona loro perché non sanno quello che fanno!”.
5milioni di profughi da aiutare
L’emergenza umanitaria è destinata ad aggravarsi con l’arrivo dell’inverno. Le autorità hanno già avvisato che la temperatura dei riscaldamenti non potrà superare i 12 gradi e milioni di persone sono rimaste senza una casa cui fare ritorno. Padre Paolo Vyshkovskji ci dà la dimensione dello sforzo messo in atto dalla Chiesa ucraina per distribuire gli aiuti arrivati dall’Europa: “Solo la nostra parrocchia a Kiev è riuscita a distribuire circa 300mila tonnellate di aiuti, distribuiti in auto e con i treni, quando ancora funzionavano. Quando abbiamo chiesto alle persone delle città più orientali cosa fosse ciò di cui avevano più bisogno ci hanno detto: acqua, perché con l’acqua possiamo sopravvivere più a lungo anche se non abbiamo cibo. Mai nella mia vita avevo sperimentato una cosa del genere”. Caritas Spes-Ucraina ha distribuito almeno 340 mila tonnellate di aiuti umanitari provenienti dall’Occidente e in tutte le realtà ecclesiali del paese sono stati organizzati ostelli per chi non ha più dove andare.
Gli appelli del Papa per la pace
La voce di Papa Francesco non manca mai di farsi sentire in ogni occasione pubblica, che siano le udienze generali o gli incontri domenicali per la recita dell’Angelus: l’Ucraina è un paese martire, vittima di una guerra criminale. Parole che arrivano forti e chiare a tutti gli ucraini, all’interno e all’esterno del Paese. Padre Vyshkovskji ci tiene a sottolineare la gratitudine della popolazione per l’apprensione del Papa e i suoi costanti appelli per la pace. “Noi attendiamo e desideriamo intensamente che il Papa venga in Ucraina e nella Chiesa di San Nicola a Kiev. Preghiamo ogni giorno perché ciò possa avvenire”.
L’invito al dialogo per fermare la guerra
“Per noi cristiani – spiega padre Paolo - il messaggio è chiaro: dobbiamo perdonare ed essere sempre capaci di tendere la mano per primi. Ma a coloro che hanno perso qualcuno, alle ragazze e alle bambine violentate, alla mia parrocchiana che ha celebrato il funerale dei suoi figli, uccisi uno dopo l’altro al fronte, cosa posso dire? Bisogna creare spazi di riconciliazione e noi cerchiamo di farlo con i nostri centri di aiuto. Cerchiamo di dare tutta l’assistenza psicologica e spirituale alle vedove, agli orfani, alle madri che hanno perso i figli per aiutarli a sopravvivere e cercare la via del perdono e della riconciliazione”.
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