Ecuador, divampa la protesta sociale. La Chiesa lancia nuovi appelli al dialogo
Marco Guerra – Città del Vaticano
In Equador la protesta sociale animata soprattutto dalla comunità indigena è arrivata al dodicesimo giorno e si è estesa a tutto il territorio del Paese. Il 14 giugno scorso, la Conaie (Confederazione delle nazionalità indigene), principale organizzazione indigena dell’Ecuador, ha proclamato uno sciopero generale a tempo indeterminato per chiedere al governo neoliberista del presidente Guillermo Lasso la riduzione del prezzo dei carburanti e dei beni di prima necessità. Nella giornata di giovedì, 23 giugno, i manifestanti hanno cercato di assaltare il Parlamento, a Quito. L’intervento della polizia ha provocato un morto e dozzine di feriti. Nei video che circolano in rete si vedono migliaia di manifestanti affrontati dagli agenti in tenuta antisommossa.
Quattro morti dall’inizio delle proteste
La Conaie tramite il suo profilo Twitter accusa lo Stato di omicidio e sostiene che “la polizia ha lanciato granate a impatto multiplo" contro i manifestanti "indiscriminatamente, provocando centinaia di feriti, molti dei quali in modo grave". Sempre ieri, nel tentativo di allentare la tensione, il governo aveva disposto l'uscita della polizia dalla Casa della Cultura e dalla Plaza de Los Arbolitos, luogo tradizionale di riunione degli indigeni quando manifestano nella capitale. Secondo alcune organizzazioni per i diritti umani, dall'inizio delle proteste ci sarebbero tra i manifestanti quattro vittime, 90 feriti e 87 arresti.
Gli appelli al dialogo della Chiesa
A più riprese la Chiesa dell’Ecuador è intervenuta per chiedere e favorire il confronto pacifico tra il governo e le sigle della protesta. Con un primo appello del 15 giugno i vescovi del Paese latinoamericano hanno invitato “il governo nazionale, la Conaie, i movimenti sociali e politici e tutti gli uomini e le donne di buona volontà a cercare insieme soluzioni adeguate attraverso il dialogo, pensando soprattutto al bene comune e al benessere dei più poveri del nostro Paese". Il presidente Lasso si è detto disponibile a dialogare a condizione che la protesta si interrompa, ma gli indigeni al momento restano in stato d’agitazione e ribadiscono le loro dieci richieste, tra le quali politiche sociali di più ampio respiro. Ieri è stata celebrata una messa per la pace in Ecuador, voluta dalla Conferenza episcopale ecuadoriana (Cee) e in un video ripreso dal Sir si sente il presidente dei vescovi, monsignor Luis Herrera Cabrera, arcivescovo di Guayaquil, affermare: “Confermiamo il nostro cordiale invito alle parti perché, abbandonando le posizioni estreme, si siedano a dialogare, ad ascoltarsi, a riflettere insieme e a prendere decisioni che portino il bene a tutto il Paese e non a piccoli gruppi”. Sempre attraverso un video, si è espresso anche l’arcivescovo di Quito, Alfredo José Espinoza Mateus, che ribadisce che il dialogo è “l’unico cammino possibile”.
Capuzzi (Avvenire): possibili ripercusioni regionali
“La causa scatenante è stato il caro-benzina ma in poco tempo è diventata una protesta sociale a tutto tondo specchio di un malcontento per l’inflazione e per situazioni strutturali di diseguaglianza acuite dalla pandemia”, spiega Lucia Capuzzi giornalista di Avvenire, esperta di America Latina a Pope, secondo la quale la crisi in Ecuador è un campanello d'allarme per tutto il Sud America poiché già nel 2019 la protesta in Ecuador “divenne continentale”. Capuzzi ricorda poi che a soffiare sul fuoco sono anche i sostenitori dell’ex presidente progressista Correa che ha lasciato il Paese dopo una serie di accuse.
La Chiesa apprezzata da entrambe le parti
Lucia Capuzzi evidenzia inoltre che la Conaie è la più potente confederazione indigena del Sud America con 36 anni di storia, che ha saputo mettere insieme le rivendicazioni di tutti gli esclusi e non solo degli indigeni, e “nella storia recente del Ecuador ha provocato le dimissioni di tre presidenti”. In questa crisi politica, “la Chiesa può avere un’importanza fondamentale per aprire un canale di dialogo”, fa notare in conclusione la giornalista di Avvenire, “per la sua vicinanza alle comunità indigene e per la sua credibilità agli occhi del governo, è una voce apprezzata da entrambe le parti”.
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