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Impiegate di uffici pubblici a Maymana, nella provincia di Faryab, in Afghanistan Impiegate di uffici pubblici a Maymana, nella provincia di Faryab, in Afghanistan 

L’Afghanistan tra fame e terrore

Il futuro di un'intera nazione è in bilico: è l’allarme lanciato dall’Unhcr, che parla di metà della popolazione allo stremo. Bambini costretti a lavorare mentre è caccia alle donne che resistono a restrizioni e imposizioni. Al di là dei provvedimenti voluti dalla leadership dei talebani che ha promesso ad esempio di riaprire le università alle ragazze, prevalgono per le strade miliziani e impunità, come spiega il presidente della onlus Pangea Luca Lo Presti

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nell'Afghanistan già ridotto allo stremo da 40 anni di guerra si consuma una gravissima emergenza umanitaria: 23 milioni di persone sono ridotte alla fame, quasi la metà della popolazione totale del Paese. È l'allarme di Unhcr che ha lanciato questa mattina una campagna di solidarietà per aiutare il popolo afghano, sottolineando che ai margini delle città, nei villaggi e negli alloggi di fortuna, milioni di persone sono esposte al rigido inverno. "Migliaia di famiglie rischiano di non sopravvivere senza aiuti immediati", sottolinea l'agenzia Onu per i rifugiati. 

Profughi e rifugiati

"Nel 2021 quasi 700mila afghani sono fuggiti dalle loro case per via degli scontri armati. Ma la cifra complessiva delle persone che negli ultimi anni sono state costrette a spostarsi all'interno dei confini nazionali - dichiara Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l'Italia, la Santa Sede e San Marino - è molto più alta essendo pari a circa 9 milioni. Sei milioni sono invece i rifugiati in Pakistan e in Iran, la maggioranza dei quali vive da anni in questi Paesi, e molti altri si trovano in Europa. Dallo scorso agosto in poi non si sono registrati nuovi flussi di portata paragonabile a quelli degli anni passati ma, se la crisi economica e sociale del Paese non sarà rapidamente affrontata e risolta – avverte Cardoletti - questi movimenti aumenteranno una volta finita la stagione invernale".

Bambini costretti a lavorare

Circa un quinto delle famiglie in Afghanistan è stato costretto a mandare i propri figli a lavorare, a causa del crollo dei redditi negli ultimi sei mesi. E sono circa un milione i bambini ora coinvolti nel lavoro minorile, come rivela una ricerca di Save the Children pubblicata oggi. Dallo scorso agosto le condizioni dei bambini in Afghanistan sono ulteriormente peggiorate. Due milioni di minori già soffrivano di malnutrizione e nel giro di poche settimane centinaia di migliaia di loro sono stati costretti anche a fuggire dalle loro case. Tantissimi si sono ritrovati a vivere per le strade, senza cibo, protezione e in condizioni igienico-sanitarie terribili, mentre sempre più famiglie sono costrette a gesti estremi pur di sfamare i propri figli. Anche a cederli per fame. Oggi la situazione è gravissima. Cinque milioni di bambini sono sull'orlo della carestia e la grave crisi economica minaccia di lasciare più del 95 per cento della popolazione in condizioni di povertà e con un sistema sanitario al collasso. Dal crollo dell'ex governo e dalla transizione del potere ai talebani lo scorso agosto, un terzo delle famiglie ha perso l'intero reddito familiare, circa il 36 per cento sta acquistando cibo a credito, mentre il 24 per cento ha dichiarato di averlo fatto in precedenza.

Le donne le più esposte

Nella miseria e precarietà che colpisce il Paese c’è il dramma delle donne private di ogni libertà, a partire dal diritto allo studio. Con la presa del potere da parte dei talebani ad agosto e il rapido ritiro delle truppe occidentali dal Paese, sono scattate restrizioni pesantissime e episodi di violenza. Un solo esempio in campo sportivo: Mahjubin Hakimi,  giocatrice della nazionale giovanile afghana di pallavolo, è stata uccisa a Kabul già ad agosto. Sono scattate iniziative da tutto il mondo per far evacuare squadre femminili o attiviste. Moltissime donne però rimangono in patria.  Della loro situazione e delle promesse dei talebani di riaprire le Università alle studentesse abbiamo parlato con Luca Lo Presti, presidente della onlus Pangea:   

Ascolta l'intervista con Luca Lo Presti

Lo Presti fotografa due situazioni ugualmente difficili ma distinte, cioè quella che le donne vivono nella capitale Kabul e quella che si registra nelle campagne o nelle zone montuose. A Kabul è impressionate, racconta, come sono spariti dalla circolazione i volti femminili ma anche le immagini per esempio nella cartellonistica o nelle insegne di negozi: estetiste e parrucchiere sono state costrette a chiudere e se le donne circolano, devono farlo coperte. Per quanto riguarda le zone fuori dalla capitale e dalle città, spiega Lo Presti, purtroppo è tutto ancora più esasperato.

La resistenza delle donne

Tante donne che hanno assimilato una cultura dei diritti in vent'anni di presenza internazionale – spiega Lo Presti – e tante giovanissime nate e cresciute in questi anni non si danno per vinte. Le manifestazioni di qualche giorno fa sono state solo un segno evidente, ci sono poi – assicura – anche tanti gesti quotidiani con i quali protestano con coraggio. Ma il punto è che alcune delle donne in piazza sono state arrestate, alcune uccise. Altre sono state prelevate salle loro stesse case. Lo Presti racconta che Pangea si è impegnata per cercare di difenderle e infatti alcune sono state nascoste.

Le ragazze e l’Università

Il presidente di Pangea conferma che la leadership talebana ha promesso di riaprire i corsi universitari alle studentesse a marzo prossimo, ma mette in luce tutte le difficoltà al di là della possibilità o meno di vedere mantenute le promesse e in che termini reali. Ma il punto – avverte – è che non basta neanche la parola o la decisione della leadership nel momento in cui nel Paese, specialmente all’interno, si sono moltiplicati miliziani che rispondono solo in parte al dettato centrale. Lo Presti parla di miliziani anche “improvvisati”, che si sono fatti crescere la barba da agosto in poi e che sotto l’ombrello dei talebani cercano di prendere il controllo di aree e Paesi, che aspirano più al predominio e al regolamento di conti personali che alla ideologia dei talebani, ma che creano terrore proprio partendo dalla persecuzione alle donne, che ovviamente colpisce e terrorizza, immobilizza famiglie, madri e padri.

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14 febbraio 2022, 15:00