Il Kirghizistan elegge il nuovo parlamento alla fine di un anno di svolta
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Il Kirghizistan si reca al voto per il rinnovo del parlamento, guardando ad un futuro che superi le farraginosità burocratiche istituzionali del passato, figlie dell’appartenenza, fino al 1991, all’Unione Sovietica che proprio in quell’anno arrivo alla sua dissoluzione. Per 30 anni il Kirghizistan ha vissuto periodi di forti tensioni tra le varie etnie presenti sul suo territorio e leadership troppo autoritarie e poco trasparenti. Il 10 gennaio di quest’anno è stato eletto alla guida del Paese, Sadyr Japarov, già primo ministro e leader del Mekenchil, partito conservatore fondato nel 2010. Poi ad aprile il referendum che ha trasformato la Repubblica da parlamentare in presidenziale. Dunque più poteri al capo dello Stato, afferma, nell’intervista a Radio Vaticana-Pope, Giuseppe D’Amato, esperto dell’area ex sovietica, e un parlamento più agile, passato da 120 a 90 deputati. “La speranza con questo voto – afferma D’Amato – è che il Paese arrivi ad una stabilità politica ed economica”:
Giuseppe D’Amato, a 30 anni dalla fine dell’impero sovietico, di cui faceva parte, che cosa è oggi il Kirghizistan?
Il Kirghizistan è una Repubblica dell'Asia centrale che cerca di sopravvivere alla nuova realtà, una realtà estremamente complicata, una realtà che ha portato enormi problemi dal punto di vista economico e sociale e, questo, diciamo, è l'aspetto più importante, soltanto in Russia ufficialmente ci sono 800 mila cittadini kirghisi, che lavorano ufficialmente lì, a fronte dei circa 6 milioni e mezzo di abitanti.
Dunque, c'è una importante diaspora che, immagino, continui ad avere stretti rapporti con la madre patria…
Certo, la diaspora kirghisa in Russia è importantissima. Un dato fondamentale è che, secondo la Banca mondiale, nel 2020 le rimesse che sono arrivate in Kirghizistan hanno rappresentato il 31% del PIL nazionale. Questo significa che ci sono intere regioni che sopravvivono grazie a questi cittadini emigrati all'estero. Dobbiamo ricordare che in Kirghizistan il russo è la seconda lingua ufficiale è i legami fra Mosca e Biskek sono sempre stati molto saldi.
I cittadini sono chiamati a votare per un parlamento che è un po' cambiato nella sua fisionomia?
Certamente, il nuovo parlamento non avrà più 120 deputati, ma soltanto 90; 54 sono eletti con sistema proporzionale e 36 con quello uninominale. Sono 21 i partiti e questo è un segnale positivo, perché vuol dire che vi è un'ampia libertà di associazione e di parola. Il presidente a seguito del recente referendum ha ottenuto maggiori poteri, ma proprio questa frammentarietà del potere in Kirghizistan, secondo alcuni osservatori, è la causa dell’instabilità politica. Diciamo che c’è la speranza che, col nuovo corso, il Paese trovi adesso una nuova strada che porti maggiore stabilità politica ed economica.
Che tipo di rapporti ha il Kirghizistan all’estero?
Ha ottimi contatti con la Russia. In passato aveva legami solidi con l'occidente, soprattutto con gli Stati Uniti, ma poi i rapporti nell’ultimo periodo sono diventati meno saldi. Ultimamente anche la Cina guarda con estrema attenzione al Paese confinante.
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