Libano: finito il blackout, continua il dramma di un popolo
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Torna l’elettricità in Libano dopo quasi un giorno di blackout nazionale, dovuto all’esaurimento di carburante nelle due centrali principali di Deir Ammar e Zahrani. È la seconda volta che accade questo mese. La maggior parte dei libanesi non ha visto grandi cambiamenti nella propria vita quotidiana: sono mesi che lo Stato fornisce a malapena una o due ore di energia al giorno ed il blackout è stata solo una parentesi sì dolorosa, ma all'interno di un dramma collettivo che prosegue da mesi e non sembra conoscere fine.
Rifornimento dell'esercito
Dall’inizio della gravissima crisi economica che ha messo in ginocchio il Paese dei Cedri, il Libano soffre infatti di una scarsità di carburante e non è più in grado di garantire l’approvvigionamento energetico necessario al regolare funzionamento della rete elettrica pubblica. Da oggi “la rete è tornata a lavorare normalmente”, ha detto il ministro dell’Energia, Walid Fayad, ringraziando i militari dell’esercito che hanno rifornito seimila litri di carburante dalle proprie riserve. Un carico che, tuttavia, basterà al massimo per tre giorni. Passato questo periodo, entreranno in funzione altre due centrali, grazie ad un carico di carburante in arrivo dall’Iraq. La banca centrale ha infatti approvato questa settimana uno stanziamento di 100 milioni di dollari per importare carburante per la rete elettrica.
Noi qui sopravviviamo
"Ormai vivere qui significa sopravvivere, siamo ad un'economia di guerra". Lo afferma nell'intervista a Radio Vaticana - Pope l'architetto Francois Eid, raggiunto telefonicamente a Beirut. Lui è uno dei professionisti che ha deciso di non lasciare il Paese, "ma - afferma - tanti non hanno potuto scegliere, la situazione è grave e quello che era il faro del Medioriente ora è una città di fantasmi".
Il blackout è praticamente finito, ma prima e dopo le ore di energia a disposizione della popolazione erano e sono comunque poche, ridotte al minimo e anche meno. La situazione dunque resta grave?
Sì, l'elettricità di Stato è disponibile due, massimo tre ore al giorno. Il problema è strutturale. Prima erano molte più ore, ma adesso lo Stato è alle prese con il caro dei carburanti il cui prezzo è aumentato fino a dieci volte. Ci sono i generatori privati, ma non tutti possono pagare la bolletta e comunque non sarebbero sufficienti per coprire tutto il necessario. C'è chi può permettersi di pagare, ma gli altri devono arrangiarsi. Qui è un disastro perché per ogni cosa ovviamente c'è bisogno di elettricità, dal cibo in frigorifero ai computer. Non sappiamo quando poter lavorare, per non parlare degli ospedali. Senza i sussidi statali sul carburante la benzina costa dieci volte di più rispetto ad un anno fa. Noi sopravviviamo, sembra un'economia di guerra.
Un'economia di guerra che colpisce tutti, anche i professionisti che come lei hanno deciso di restare nel Paese. Molti altri hanno lasciato il Libano. Le chiedo cos'è che vi porta, la porta a resistere in un simile contesto di crisi?
L'amore per la mia terra, per il mio Paese. Io sono tornato in Libano dopo aver vissuto nove anni in Italia, sono attaccato alla mia terra. Come popolo lo siamo, ne sono più che sicuro, però tanti professionisti sono andati via perché mancava la possibilità di vivere qui. Sono stati costretti a partire. Chi ha la possibilità di rientrare lo farà. Beirut era la capitale che non dormiva mai, ormai sembra una città di fantasmi. Al buio. Il Libano era il faro del Medioriente, ora vive un periodo davvero molto duro e sta perdendo le condizioni della sua stessa esistenza.
Una revisione completa del settore elettrico
Le interruzioni di corrente sono una costante in Libano da una trentina d’anni, ma la crisi economica ha peggiorato drasticamente le cose; molti residenti ricorrono a generatori privati per mantenere gli elettrodomestici accesi, ma anche i loro proprietari hanno iniziato a razionare l’energia elettrica. E anche chi può permettersi di acquistare il carburante fatica comunque a reperirlo sul mercato. La comunità internazionale chiede da tempo una revisione completa del settore elettrico del Libano, che è costato al governo oltre 40 miliardi di dollari dall’inizio degli anni ‘90.
L'incendio di oggi
Intanto questa mattina nella città costiera di Zahani, nel sud del Paese, è divampato un incendio in un serbatoio per lo stoccaggio di petrolio della Zahrani Oil Installation, una delle principali strutture petrolifere del Libano. Lo riportano siti locali, spiegando che i vigili del fuoco hanno impiegato ore a domare le fiamme. L'esercito ha evacuato la zona temendo la propagazione delle fiamme ed una possibile esplosione, fortunatamente scongiurata. Interrotto il traffico autostradale in entrambe le direzioni, nel pomeriggio le fiamme sono state domate. Il ministro per l'Energia Walid Fayad ha detto che l'incidente si sarebbe verificato mentre alcuni lavoratori stavano spostando del gasolio da un serbatoio all'altro e che in poche ore sono bruciati quasi 250mila litri di combustibile. Non ci sono feriti.
Non fare sprofondare il Libano
Lo scorso agosto, ad un anno dall'esplosione che ha devastato il porto di Beirut, anche la Santa Sede è intervenuta alla conferenza organizzata dall'Onu e dalla Francia. Il sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Miroslaw Wachowski, in quell'occasione ha sottolineato come “la Santa Sede auspica che si favoriscano le condizioni affinché il Libano non sprofondi oltre, ma inizi una ripresa e un cammino di risalita che sarà a beneficio di tutti”. Wachowski ha poi ricordato come "la Santa Sede e le Agenzie umanitarie della Chiesa cattolica hanno offerto un aiuto sostanziale a sostegno delle vittime e della ricostruzione, in particolare delle case, degli ospedali e delle scuole”, rammentando la “viva preoccupazione” mostrata in diverse occasioni dal Papa per il Paese mediorientale.
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