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Soldati dell'esercito libanese nella zona degli scontri a Beirut Soldati dell'esercito libanese nella zona degli scontri a Beirut 

Libano: torna la violenza, a Beirut guerriglia urbana e sette vittime

E’ di sette morti e oltre 30 feriti il bilancio dello scontro a fuoco che è seguito giovedì scorso alla manifestazione di Hezbollah contro il magistrato che guida l'inchiesta sull'esplosione nel porto di Beirut del 2020. Le istituzioni libanesi e internazionali invitano i partiti alla calma e al rispetto dell’indipendenza giudiziaria. Padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano: è difficile parlare di pace

Alessandro Di Bussolo e Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Tornano a parlare le armi e la violenza a Beirut: una manifestazione di protesta indetta da Amal ed Hezbollah, che chiedono la rimozione del giudice Tarek Bitar, che guida l’inchiesta sulla devastante esplosione al porto del 4 agosto 2020, nella quale sono coinvolti alcuni esponenti delle formazioni musulmane sciite, si è trasformata in una vera guerriglia urbana. Il bilancio finale è di sette morti e oltre trenta feriti.

Manifestanti contro il giudice che indaga sull'esplosione al porto

Ieri mattina, alla rotonda di Tayyoune, ad un chilometro dal palazzo di giustizia, era programmato un sit-in contro il magistrato inquirente, accusato dal segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, di “politicizzare” l’indagine per conto degli Stati Uniti. Un’istanza di ricusazione del giudice, presentata anche da un ex ministro di Amal, Ali Hassan Khalil, che è tra gli indagati, è stata già respinta tre volte dalla Cassazione.

Spari sui manifestanti, la risposta dei miliziani

Secondo i due partiti sciiti, alcuni “cecchini”, appostati sui palazzi di fronte alla rotonda, hanno aperto il fuoco per primi sul gruppo dei manifestanti. Gli spari quindi sarebbero partiti dal quartiere di Ai nel-Remmaneh, roccaforte del partito cristiano delle Forze libanesi di Samir Geagea, rivale dei due movimenti sciiti, che controllano invece l’antistante quartiere di Shiyah. I miliziani di Hezbollah e Amal hanno risposto al fuoco e la rotonda, dove durante la guerra civile, tra il 1975 e il 1990, correva la linea del fuoco tra sciiti e cristiani, si è trasformata in un campo di battaglia con l'impiego anche di lanciarazzi. Tra i sei morti, quattro manifestanti e una 24enne colpita alla testa in casa. Grande panico tra i civili e gli alunni nelle scuole, rimasti bloccati nel fuoco incrociato.

Le accuse tra le due parti

Dopo alcune ore la calma è stata ristabilita grazie all'intervento dell'esercito, che ha isolato la zona. I militari hanno poi fatto sapere di aver compiuto perquisizioni e di aver arrestato nove persone di "entrambe le parti, tra cui un siriano". Le formazioni sciite hanno accusato apertamente le Forze libanesi di aver aperto il fuoco sulla manifestazione, ma il partito cristiano maronita ha negato "totalmente e completamente". Per il leader Geagea, la presenza di "armi illegali" è la causa principale degli scontri, con un riferimento indiretto ai miliziani sciiti filo-iraniani.

Aoun: soluzioni nelle istituzioni, non con la violenza

Numerosi gli appelli alla calma e ad abbassare le tensioni. Il presidente Michel Aoun ha assicurato che non verrà permesso a "nessuno di prendere in ostaggio il Paese per i propri interessi", esortando i partiti a cercare soluzioni all'interno delle istituzioni e non attraverso manifestazioni e barricate. "Non permetteremo che quello che è avvenuto oggi, accada di nuovo", ha aggiunto, annunciando un'inchiesta. Il premier Najib Mikati ha chiesto scusa per i fatti di sangue, annunciando per domani un giorno di lutto: "Mi vergogno per la tragica situazione a cui siamo arrivati", ha affermato. La Francia si è detta "estremamente preoccupata" e ha lanciato un appello per una de-escalation, seguita dagli Stati Uniti.

Il grido della Chiesa per la pace

Per padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano, intervistato da Radio Vaticana-Vatican-News, oggi nel Paese si vive una situazione in cui "c'è il fuoco sotto la cenere". Le tensioni possono esplodere da un momento all'altro e in questa situazione è più facile che si generino contrapposizioni sociali che si parli di pace. La fame e il bisogno sono all'orogine di questo stato di tensione. Coloro che scendono in piazza, infatti, sono quelli che non hanno lavoro. L'emergenza fa si che spesso la voce della Chiesa, che vuole la pace tra i libanesi, rimanga inascoltata. Anche il governo, da poco insediatosi, non vuole che si creaino tensioni. E' importante, sottolinea padre Abboud, che in questa grave crisi economica la comunità internazionale continui ad aiutare la popolazione libanese.

Ascolta l'intervista a padre Michel Abboud

L'Onu: garantire l'indipendenza giudiziaria

La coordinatrice speciale dell'Onu per il Libano, Joanna Wronecka, ha sottolineato la necessità di mantenere la calma e la stabilità, esortando tutte le parti a "sostenere l'indipendenza giudiziaria nell'interesse del popolo". Un chiaro riferimento all’inchiesta del giudice Bitar, sull'esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020 nella quale sono morte 215 persone. 

Aggiornato alle ore 14.30 del 15 ottobre 2021

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15 ottobre 2021, 09:58