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Paolo VI con i ciclisti (1963) Paolo VI con i ciclisti (1963) 

Francesco Moser: nel mio nome un omaggio a Fatima

Il grande campione del ciclismo degli anni Settanta e Ottanta, tuttora recordman di vittorie in Italia, racconta a L’Osservatore Romano risvolti della sua vita privata in cui l’agonismo si è intrecciato con la fede. L’idea: tornare al Divino Amore con la squadra ciclistica vaticana”

di Filippo Simonelli

Francesco Moser non doveva chiamarsi Francesco. Nato a Palù di Giovo, era il decimo fratello di una cucciolata che sarebbe arrivata a 13. Il padre voleva battezzarlo col nome di Decimo ma mamma Cecilia impose di chiamarlo Francesco: subito prima di lui erano nate Lucia e Giacinta, così chiamate in onore alle due pastorelle che avevano visto la Madonna di Fatima, a cui la donna era devota. Il terzo veggente di Fatima si chiamava proprio Francesco, quindi la scelta era obbligata. E fu così che venne scolpito nella pietra il nome di una delle leggende più vincenti della storia del ciclismo e di tutto lo sport mondiale. Con il nome Francesco, ispirato a Fatima, Moser ha vinto più di 200 corse da professionista, un Giro d’Italia leggendario avvolto nel bagno di folla dell’Arena di Verona, titoli iridati e record dell’ora. Oggi è un capofamiglia vecchio stampo, produce vino nella sua terra e ama visceralmente il ciclismo.

Cresciuto in una famiglia numerosa contadina, e soprattutto fucina di talenti ciclistici, si può dire che lei è nato letteralmente già “in gruppo”…

Aldo, Enzo e Diego correvano da professionisti addirittura prima che nascessi. Io ho cominciato a correre perché vedevo loro! La mia prima corsa fu alla fine di luglio 1969, quando l’uomo mise piede per la prima volta sulla Luna. Arrivai quarto, ho persino provato una fuga ma poi mi hanno ripreso e ho perso in volata. Correvo per una squadra, l’Unione sportiva Montecorona, che in realtà non esisteva: l’avevano rifondata apposta per me. Ci avevano corso i miei fratelli ma io, a quel punto, ero da solo.

Nel “gruppone” dei Moser c’è anche un altro fratello che ha giocato un ruolo importante per tutta la famiglia: fra’ Claudio…

Mio fratello Claudio è frate francescano: è partito dall’Italia poco prima che io cominciassi a correre, nel giugno 1969. Lo accompagnammo all’aeroporto quando partì per la sua missione a Boston. Lavorò lì, in parrocchia, cinque o sei anni. Poi è andato in Canada, a Toronto, sempre come parroco. Noi, in famiglia, lo abbiamo visto sempre poco: da giovane era in seminario e poi è partito in missione. Ricordo benissimo la sua ordinazione e la sua prima Messa. a Palù fu una grande festa perché, insieme a lui, era stato ordinato un altro frate. Siamo sempre stati molto orgogliosi dei nostri preti di paese.

E quello di Claudio è uno dei collegamenti più importanti della famiglia Moser con l’universo religioso. Ma c’è da dire che anche il ciclismo ha poi contribuito, sia in maniera simbolica che pratica…

Nel 1974 il Giro d’Italia partì dal Vaticano: c’era Papa Montini, ho ancora le foto di tutti noi corridori che andiamo a salutarlo personalmente prima della partenza. Tutti questi ciclisti, vestiti da corsa a camminare nel Cortile di San Damaso! Poi siamo tornati nel Duemila: Giovanni Paolo II ci accolse in un salone “ufficiale”. Con il ciclismo si vivono proprio le città: ai miei tempi si partiva dai centri storici, cosa che oggi non si può più fare, e poi toccavamo i paesini, scalavamo le montagne con i santuari. Sono posti a cui poi ci si affeziona, si torna: io, per esempio, ricordo benissimo un arrivo al santuario di Montevergine, che era il luogo delle esercitazioni quando facevo il militare, oppure al Santuario di Tindari. Ci torno spesso d’estate, quando vado in Sicilia.

Non solo santuari però. Da oggi a fare da collegamento col mondo religioso c’è una squadra in bicicletta con i colori del Vaticano, con una missione…

Con il messaggio giusto si può pensare a fare una cosa importante, non solo amatoriale. Il mondo del ciclismo è bello perché è incredibilmente vario, si possono trovare e coinvolgere tanto i professionisti quanto i cicloturisti, gente che magari fa il Cammino di Santiago in sella o si ritrova semplicemente a pedalare verso il santuario più vicino.  Anche io ho visitato i luoghi sacri con la bicicletta, lasciando alcuni omaggi: ad esempio, ho donato una bicicletta alla Madonna del Divino Amore, a Roma. E sarebbe bello organizzare qualcosa ed andare proprio lì con la squadra ciclistica vaticana, per cominciare… Io ci sono.

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28 ottobre 2021, 15:30