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Allarme ossigeno per l'Uganda alle prese con la terza ondata di coronavirus Allarme ossigeno per l'Uganda alle prese con la terza ondata di coronavirus

Covid-19: in Uganda manca l’ossigeno, giugno il mese con più vittime

A lanciare l’allarme per quanto sta accadendo nel Paese africano, alle prese con la terza ondata di coronavirus, è la Fondazione Soleterre che aiuta alcune importanti strutture sanitarie. Dominique Corti del Lacor hospital: “l’emergenza è l’ossigeno, da noi nessun paziente viene rifiutato”

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Mentre in Europa cresce la preoccupazione per la diffusione della variante Delta, l’Africa è in difficoltà a causa dei ritardi nel reperimento di ossigeno, mascherine e disinfettanti. In questi giorni la Fondazione Soleterre ha lanciato l’allarme per l’Uganda, il Paese ha visto crescere i contagi in modo esponenziale: 33.158 nuovi casi registrati a giugno corrispondono al 42% di tutti i casi registrati dall’inizio della pandemia. Delle 954 morti vittime dall’inizio dell’emergenza, 594 sono stati registrati solo lo scorso mese. Un milione di vaccini è stato somministrato, ma soltanto lo 0,01% della popolazione ha ricevuto le due dosi previste.

Soleterre, che opera in Uganda dal 2011, aiuta la Fondazione Corti presso il Lacor hospital e la Fondazione Raffaella Children’s Block presso il Gulu Regional Referral hospital, nella sub-regione di Acholi. Sono strutture attrezzate a ricevere i casi più gravi, ma anche qui si segnalano difficoltà. Nell’ospedale Gulu, nelle ultime settimane circa 20 tra medici e infermieri hanno contratto il virus durante il turno di lavoro.

Le grandi strutture in difficoltà

L’ospedale di Lacor, nel nord del Paese, venne creato da Piero Corti e da Lucille Teasdale, entrambi medici, lei canadese di Montreal e lui originario di Besana Brianza. Hanno speso tutta la loro vita in Uganda, fondando un piccolo ospedale di 40 posti letto, che oggi è una struttura con quasi 700 dipendenti, tutti ugandesi. Oggi presidente della Fondazione è la dottoressa Dominique Corti, figlia di Piero e Lucille. “La situazione in Uganda oggi – racconta - evidenzia che tutti gli ospedali, che sono in grado di ricoverare persone che hanno contratto il Covid, sono al completo e faticano a trovare l'ossigeno. Noi abbiamo un impianto di produzione dell'ossigeno, installato circa 4 anni fa, che però era stato pensato per un grande ospedale con bisogni di routine”. La dottoressa sottolinea che i compressori stanno lavorando 24 su 24 ma la difficoltà è anche riempire le bombole di ossigeno”. La soluzione che si sta approntando è di rimettere in moto i vecchi concentratori di ossigeno che erano stati dismessi.

Piero e Lucille Corti
Piero e Lucille Corti

Nessun paziente mandato via

“La settimana scorsa – spiega – abbiamo avuto dei pazienti che hanno dormito sul pavimento, perché c’era affollamento. Come ospedale, la nostra filosofia è di non chiudere mai le porte e di non dire che bisogna andare altrove, perché altrove non ce nulla”. Il Lacor chiede solo un piccolo contributo a chi se lo può permettere. Oggi l’urgenza, oltre all’ossigeno, è anche il reperire il materiale di protezione che si deve acquistare per ogni mese. “Tenete conto – sottolinea Dominique Corti - che abbiamo un ospedale da 480 letti e più di 700 dipendenti con 3 centri sanitari periferici; tutti stanno comunque funzionando anche per i pazienti che non hanno il Covid. Il nostro consumo, ad esempio, di mascherine chirurgiche è intorno alle 30mila mascherine al mese, i guanti 300mila al mese”. L’appello è di avere dei fondi per l’urgenza, ma, spiega la dottoressa, la nostra visione è quella di andare al di là delle emergenze. “Qui abbiamo avuto guerre, epidemie, c’eravamo prima e ci saremo anche dopo e quindi ogni azione dell'emergenza va sempre pensata in una struttura che poi dopo deve rimanere”.

L'ospedale di Lacor
L'ospedale di Lacor

La “buona” medicina

Sulle spalle di Dominique anche la bella eredità dei suoi genitori, un peso che non è tale, ma è solo uno sprone ad impegnarsi. “Stare qui in questo ospedale è una continuazione della mia stessa vita, perché io qui sono nata, sono cresciuta. Mia mamma mi portava con sé nei reparti per cui sono cresciuta facendomi sedere sui letti dei pazienti che lei esaminava. Durante il fine settimana quando la tata non c'era, mi mettevo in un angolo della sala operatoria”. E’ un toccare con mano la buona medicina, a servizio delle persone, “un qualcosa vissuto profondamente, un modo di vivere”.

La dottoressa Dominique Corti
La dottoressa Dominique Corti

“Quando uno viene qui si rende conto di quanta fortuna abbiamo avuto noi a nascere in Occidente, dove apri il rubinetto e c'è l'acqua. Qui invece ti devi fare mezz'ora di strada per andare a prenderla al fiume, tornare indietro, farlo tutti i giorni.Noi abbiamo la fortuna di avere una sanità efficiente, un settore che in altri posti del mondo è un incubo.” “E’ un grandissimo onore – sottolinea la dottoressa Corti - poter in qualche modo dare una mano a queste persone. Quando io dico che è importante aiutare questa gente non intendo che bisogna donare i soldi, ma insegnare loro cosa fare nella necessità, altrimenti questo sarebbe solo un grandissimo insulto. Ormai da tantissimi anni sono gli ugandesi a dirigere e a gestire il loro ospedale, noi, come fondazione, facciamo parte del consiglio di amministrazione, controllando che le cose vadano secondo le linee guida che ci siamo posti”. Una storia che continua nel segno del dono e del bene.

Ascolta il racconto della dottoressa Dominique Corti

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10 luglio 2021, 12:58