Egitto-Sudan, nuove tensioni con l'Etiopia per la diga sul Nilo
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
È stata la decisione etiope di voler riempire il bacino della Gerd, la diga del Gran Rinascimento, per il secondo anno consecutivo, a destare i timori di Egitto e Sudan, che chiedono di arrivare prima a un accordo legalmente vincolante. La mega struttura costruita dall’Etiopia sul Nilo Azzurro è il più grande impianto idroelettico africano. Il Cairo e Khartoum, a valle del fiume, temono che il progetto possa ridurre il loro accesso all'acqua, costituendo una minaccia per entrambe le nazioni. L'Egitto, che ha annunciato lunedì sera di essere stato informato da Addis Abeba, ha reagito con una nota del ministro dell'irrigazione Abdel Aty in cui si denuncia "una violazione della legge e degli standard internazionali che regolano i progetti di costruzione su bacini condivisi di fiumi internazionali". Di decisione contraria al Diritto internazionale e di "rischio e minaccia imminente", ha parlato anche il ministero degli esteri del Sudan, dove la notifica delle intenzioni etiopi è giunta ieri sera.
L’avanzamento dei lavori
Per l'Etiopia, che non ha ancora confermato ufficialmente l’operazione di riempimento, la diga è vitale per il proprio sviluppo: porterebbe energia al 60 per cento dei suoi 110 milioni di abitanti. Attualmente la costruzione della Gerd da parte etiope è stata completata per metà e perché possa andare in produzione il riempimento deve essere contestuale. “Per quanto non abbia il risalto internazionale di altri dossier di politica estera, è una questione molto delicata per Egitto, Sudan ed Etiopia – commenta ai microfoni di Pope Marco Di Liddo, analista del Centro studi internazionali (Cesi) - perché lo sviluppo di questa infrastruttura è in grado di cambiare il destino economico e quindi politico dei tre Paesi. Più si va avanti più negoziato diventa difficile è più questione economica rischia di trasformarsi in una questione di sicurezza".
Lo stallo dei negoziati e il ruolo dell’Onu
La gestione della diga è da anni al centro di difficili negoziati, che dallo scorso aprile hanno registrato una battuta d’arresto. La diga è in agenda al Consiglio di Sicurezza Onu di domani, ma l’Etiopia insiste nel continuare i negoziati con l'intermediazione dell'Unione africana e in un comunicato respinge quella che definisce "l’indesiderata ingerenza della Lega degli Stati arabi sulla questione della diga dopo l'invio della lettera in cui si chiede al Consiglio di sicurezza all’Assemblea generale di intervenire in merito". Di Liddo ricorda che il tema è stato portato all’attenzione delle Nazioni Unite dalla Tunisia, su richiesta di Egitto e Sudan, ma che la presidenza di turno francese del Consiglio di Sicurezza si è espressa dicendo che il Consiglio può fare veramente poco sulla questione. “I negoziati sono in stallo – continua l’analista - perché l'architettura legale che dovrebbe regolare i rapporti a livello idrico, tra questi Paesi è obsoleta e risale a un accordo creato dagli inglesi, ma che ai tempi escluse totalmente l'Etiopia, mentre oggi questa risorsa pesa molto di più di quanto pensasse ai tempi dell'impero coloniale inglese”.
L’importanza del dialogo e di un accordo legale
Sulla “questione del Nilo” si è soffermato Papa Francesco nel dopo Angelus del 15 agosto dello scorso anno, invitando Egitto, Etiopia e Sudan “a continuare sulla via del dialogo affinché il Fiume Eterno continui a essere una linfa di vita che unisce e non divide, che nutre sempre amicizia, prosperità, fratellanza e mai inimicizia, incomprensione o conflitto”. Intanto, la strada percorribile per evitare una crisi securitaria, e in prospettiva anche umanitaria, per Di Liddo è quella di creare un nuovo forum legale, in cui Paesi che a valle del corso del Nilo e quelli che si trovano a monte trovino un modus vivendi.
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