Ancora manifestazioni in Colombia, l’appello alla preghiera dei vescovi
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Sindacati, organizzazioni studentesche e il Comitato nazionale per lo sciopero sono scesi in strada ieri al grido di “niente più violenza”. Mobilitazioni e blocchi stradali a Bogotà, Medellin, Cali e in altre città, dove le manifestazioni negli ultimi 8 giorni sono sfociate a volte in scontri violenti e repressione da parte della polizia. L'ufficio del difensore civico segnala almeno 19 morti, altre organizzazioni parlano di 31 vittime. Le proteste avvengono mentre la Colombia vive la sua terza ondata di Covid-19, che nella sola giornata di ieri ha fatto registrare oltre 14.800 contagi e 388 decessi. Reporter Senza Frontiere e Fondazione per la libertà di stampa hanno denunciato attacchi a 76 giornalisti e fotoreporter durante le manifestazioni, per lo più da parte di membri della polizia. “La Colombia sta attraversando un altro periodo cruciale della sua storia. Nonostante si siano svolte in varie città anche manifestazioni pacifiche e non violente, continua però la repressione delle proteste. Secondo i nostri contatti, agenti anti-sommossa sono ancora nelle strade”. Racconta così dall’Italia a Pope Marco Ramigni, volontario di Operazione Colomba, il corpo non violento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII.
I motivi delle proteste
L’oggetto delle manifestazioni che hanno preso il via in Colombia lo scorso 28 aprile era la riforma tributaria, che prevedeva un aumento generalizzato dell'Iva e una maggiore pressione fiscale sulla popolazione con reddito medio. Sebbene il governo del presidente Duque abbia poi ritirato la riforma e il ministro dell’Economia si sia dimesso, l’ondata di proteste non si è placata. “Credo che il popolo, i giovani, i sindacati, le organizzazioni, si riversino in strada per una richiesta di giustizia”: aggiunge Ramigni, che parla anche del ruolo da protagonisti che hanno i giovani in queste manifestazioni: “sono quelli che per primi hanno sentito l’esigenza di manifestare contro delle ingiustizie. E nonostante i lockdown territoriali e le limitazioni dovute al Covid-19, questi giovani sentono l’esigenza di un mondo più giusto e vanno in strada a fare delle richieste soprattutto in maniera pacifica”.
Appello alla preghiera dei vescovi per il 7 maggio
"Respingiamo risolutamente, qualunque sia la loro origine, le violazioni dei diritti umani, gli atti di vandalismo, i blocchi alla mobilità e all'approvvigionamento alimentare, la scomparsa di persone, gli attacchi contro l'integrità fisica di qualsiasi individuo, la distruzione causata alla proprietà pubblica e privata". Così i vescovi colombiani, in un comunicato diffuso ieri. I presuli hanno espresso il dolore della Chiesa per i morti, i feriti e i malati che non hanno potuto contare sulle cure sanitarie a causa delle chiusure e dei danni alle strade e hanno ricordato che sebbene le proteste rappresentino un diritto, “queste devono essere esercitate nel rispetto dei diritti umani”. Nel messaggio, l’episcopato del Paese ha ribadito che "la violenza, il vandalismo, le aggressioni, l'abuso della forza e il caos sociale non risolvono nulla, perché portano solo sofferenza e morte, soprattutto ai più poveri, oltre a delegittimare e rendere discutibile qualsiasi protesta sociale". I vescovi hanno quindi esortato a seguire l’invito di Papa Francesco ad aprire i canali del dialogo sociale. "Insistiamo sulla necessità imperativa di andare verso la riconciliazione nazionale e verso la pace, con la partecipazione e gli sforzi di tutti i cittadini, senza perdere di vista il fatto che è un percorso arduo che richiede coraggio e perseveranza". Preoccupati per il futuro del Paese, i presuli hanno, infine, invitato tutte le comunità cattoliche domani 7 maggio a dedicare in ogni parrocchia una giornata di preghiera, “Preghiamo per la Colombia”, per la riconciliazione, la pace e l’unità della nazione, e per chiedere la fine della violenza e la soluzione del conflitto che il Paese sta affrontando oggi.
La Comunità Papa Giovanni XXIII: l’Italia chieda alla Colombia lo stop alla repressione delle proteste
Intanto, anche dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, viene espressa preoccupazione per quanto sta accadendo in questi giorni in Colombia “Auspichiamo – afferma il presidente Giovanni Paolo Ramonda - un’azione urgente da parte del governo italiano affinché venga richiesto allo Stato colombiano di fermare la repressione degli scioperi e delle manifestazioni e garantire il diritto alla libertà di riunione pacifica, come sancito dall'art. 37 della loro Costituzione”. Nel corso delle proteste, ricorda la Comunità, vi sono state 21 persone uccise tra i manifestanti, 2 tra gli agenti di polizia, 87 desaparecidos ed oltre di 800 feriti. L’associazione è presente stabilmente in Colombia da giugno 2009 nella regione di Antioquia attraverso il corpo non violento di pace denominato Operazione Colomba.
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