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Somalia, civili in fuga da un distretto di Mogadiscio Somalia, civili in fuga da un distretto di Mogadiscio 

Somalia, scontri a Mogadiscio

Precipitata in una profonda crisi politica da metà del 2020, la Somalia vive una forte instabilità. Ieri ancora una manifestazione contro il presidente Farmajo. Intervista a Marco di Liddo, analista del Centro studi internazionali: “La spaccatura all'interno del Paese è profonda e trasversale. C’è il rischio che si torni a uno scenario di guerra civile”

Elvira Ragosta – Città del Vaticano

Sale la tensione nella capitale della Somalia, Mogadiscio, dove ieri si sono registrati scontri tra uomini armati e forze somale a margine di una manifestazione degli oppositori del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo. Stamattina la situazione nella città appariva ancora confusa, con le principali vie d’accesso bloccate dalle forze armate. Il Paese vive una crisi politica da quasi un anno, non essendo stato possibile far svolgere le elezioni previste, tra la fine del 2020 e l'inizio del 2021, per mancanza di consenso politico. Lo scorso 12 aprile, il Parlamento somalo ha approvato una legge che proroga il mandato del presidente, scaduto a febbraio, di due anni e prevede un'elezione a scrutinio universale diretto nel 2023. Decisione, questa, condannata dall’Unione africana. La crisi politica è frutto della diversità di vedute sul futuro politico del Paese, afferma a Pope Marco Di Liddo, analista del Centro studi internazionali (Cesi), tra il presidente Farmajo, sostenitore di un disegno centralista, e i presidenti e governatori degli Stati federali, che invece sono sostenitori di un disegno federalista o confederale”.

Ascolta l'intervista a Marco Di Liddo

La preoccupazione della comunità internazionale


L'Unione Europea e il Regno Unito, attraverso i ptopti rappresentanti diplomatici, si sono dette entrambe "molto preoccupate" per la situazione. Preoccupazione profonda era già stata espressa venerdì scorso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in un comunicato. L’organismo dell’Onu a fine marzo aveva, inoltre, invitato le autorità somale a risolvere il blocco legato al processo elettorale. “La spaccatura all'interno della Somalia – osserva Di Liddo - è molto profonda ed è trasversale. Sussiste il rischio che si torni a uno scenario di guerra civile, simile a quello della metà degli anni '90, perché le truppe che rispondono a Farmajo hanno già avuto diversi scontri con le milizie che invece rispondono ai presidenti e ai governatori regionali”. L’analista del Cesi sottolinea anche che la situazione che si trova a vivere oggi la Somalia si inserisce un momento particolarmente fragile per tutta la regione del Corno d'Africa: “visto che anche la vicina Etiopia, quindi uno dei Paesi che avrebbe anche l'influenza politica per provare a stabilizzare il fronte somalo, si trova a gestire il conflitto del Tigray e l'emergente conflitto nella regione dell’Amara”.

Le altre cause dell’instabilità somala


La questione politica, però, non è l’unica causa di instabilità del Paese. Costretta, come il resto del mondo a fronteggiare l’impatto sanitario ed economico della pandemia di Covid-19, la Somalia si trova anche ad affrontare le conseguenze del cambiamento climatico che provoca forti siccità, nonché le ormai periodiche invasioni di locuste che, distruggendo i raccolti, colpiscono fortemente il settore primario, principale fonte di sostentamento per la maggior parte della popolazione. Resta, poi, il pericolo del terrorismo jihadista. “Più cresce l'anarchia all'interno del Paese – conclude Di Liddo - più al Shaabab guadagna territorio, perché si pone come l'unico attore politico in grado di combattere l'instabilità e ripristinare l'ordine. In più, in una situazione sanitaria e umanitaria al limite, la capacità di offrire servizi di base alla popolazione offre sicuramente un incentivo al reclutamento e alla radicalizzazione”.

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26 aprile 2021, 12:50