Afghanistan, l’Is rivendica l’uccisione di tre giornaliste
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Uccise perché lavoravano per una emittente televisiva “fedele al governo apostata afghano”. Così, su Telegram, la rivendicazione dell’Is per l'omicidio di tre doppiatrici del canale Enikass RTV, vittime ieri di un duplice attentato a Jalalabad, nell’est dell'Afghanistan. Le tre donne sono state colpite mentre rientravano a casa. Altre due donne sono rimaste ferite. La rivendicazione è stata fatta sui canali di propaganda del gruppo jihadista, dopo che alcune ricostruzioni paventavano il coinvolgimento dei talebani che, a loro volta, avevano escluso ogni responsabilità in merito all’accaduto.
La situazione nel Paese
Le forze presenti sul terreno sono numerose ormai da diverso tempo: il governo, i talebani, ma anche l’Is, Al Qaeda e la criminalità organizzata. Senza dimenticare i colloqui di pace in corso, con il ruolo chiave degli Stati Uniti. Il triplice omicidio è avvenuto proprio mentre l’inviato speciale degli Stati Uniti in Afghanistan, Zalmay Khalilzad, si trovava a Kabul per degli incontri con i leader del Paese. Khalilzad è stato confermato dall’amministrazione Biden ed è l’uomo che il 29 febbraio 2020 ha fatto culminare il negoziato diplomatico con i talebani nell'accordo firmato in Qatar. L’intesa stabilisce, tra l’altro, che gli Stati Uniti ritireranno le loro truppe dal Paese entro maggio 2021.
L'incertezza
Una scadenza imminente per una Nazione che mostra però ancora molte fragilità, come rileva Marco Lombardi, docente all'Università Cattolica del Sacro Cuore ed esperto di tematiche internazionali, nell’intervista a Pope.
“Siamo a qualche mese dal ritiro dei soldati statunitensi, ma il quadro dell'Afghanistan è molto complesso e ci interroga su vari aspetti. Quello geopolitico vede un ritiro delle forze americane che definirei affrettato. Gli Usa stanno lasciando un Paese in condizioni molto più incerte rispetto agli anni precedenti”.
Le donne
“La componente femminile è sempre più messa sotto tiro. Di recente abbiamo registrato l’omicidio di due giudici donne ed oggi quello di tre giornaliste”, prosegue Lombardi. “Ogni attentato ha una forte componente simbolica, raramente sono fatti per eliminare tante persone, ma per significare chi si sta colpendo. Le donne sono il motore del cambiamento culturale, che hanno una famiglia e che attraverso il loro comportamento orientano i loro figli. Per questo devono essere colpite”. Anche l’Università Cattolica ha operato per la dignità di queste persone. “Abbiamo formato tante donne afghane nelle nostre otto missioni nel Paese, anche diverse giornaliste e molte di loro sono rimaste in quella terra, hanno deciso di lavorare ed esporsi. Dobbiamo assolutamente sostenerle, soprattutto nelle società fragili ed in difficoltà”.
Il ritiro statunitense
Il fatto che l’amministrazione Biden abbia confermato Zalmay Khalilzad come inviato speciale degli Stati Uniti in Afghanistan, lascia intendere una scelta di continuità con il recente passato. “Una certa continuità è inevitabile: con i talebani si deve trattare, a meno che non si decida di tornare sul campo per colpirli, ma questa non è la soluzione. Il modo in cui si tratta però - sottolinea Lombardi - può essere negoziato. Secondo me Biden dovrà favorire un cambiamento concreto della vita quotidiana in Afghanistan, attraverso un ritiro non frettoloso, ma graduale in base ai risultati ottenuti. Questo è un cambiamento che la Casa Bianca, a mio giudizio, può fare ed auspico faccia”.
La pandemia
Lo scorso anno, così come il 2021, si presentano, dunque, come anni cruciali per il futuro dell’Afghanistan. Sul fatto che gli anni della pandemia di Covid-19 possano incidere sugli scenari futuri, il dcoente dell'Università Cattolica afferma: “Credo in modo relativo, nel senso che in certi Paesi, Afghanistan compreso, è forse più probabile morire con i fucili d’assalto AK-47 che a causa del coronavirus. Ogni minaccia ha senso se ricollocata all’interno del contesto in cui si esplicita, altrimenti non è comprensibile e questo vale anche per l’Afghanistan, Paese in guerra da 40 anni e dove una componente radicale sta facendo di tutto per impedire la pace”.
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