Giornata contro le mutilazioni genitali femminili. Gli effetti negativi della pandemia
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Più di 200 milioni di donne e ragazze hanno subito mutilazioni genitali e almeno quattro milioni di giovani sono esposte a questa terribile pratica ogni anno. Sono i dati delle Nazioni Unite sul fenomeno considerato, a livello internazionale, una violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze. Una violazione che lede i loro diritti alla salute, sicurezza e integrità fisica, così come il loro diritto alla vita quando la pratica ha conseguenze letali. Una violenza che rientra nelle tante forme di maltrattamento subite dalle donne che il Papa, nell'intenzione di preghiera proprio del mese di febbraio, definisce "vigliaccheria e degrado" per l'intera umanità.
Le mutilazioni di questo tipo inoltre non determinano alcun vantaggio sul piano medico, anzi le ragazze a volte bambine che le subiscono, affrontano complicazioni a breve termine come dolori e infezioni nonché conseguenze a lungo termine per la loro salute riproduttiva e psicologica.
Un problema universale
Anche se praticate principalmente in 30 Paesi di Africa e Medio Oriente, le mutilazioni genitali femminili rappresentano un problema per il mondo intero, perché persistono anche in alcuni Stati dell'Asia e dell'America Latina, nonché tra le popolazioni immigrate che vivono in Europa occidentale, Nord America, Australia e Nuova Zelanda. Abolirle è uno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu per il 2030.
Le ragioni per cui queste mutilazioni vengono inflitte a moltissime bambine, donne e ragazze sono tante e molto diverse a seconda delle zone in cui vengono praticate e non esiste una ragione unica, spiega a Pope Paola Magni, responsabile dei programmi di contrasto alle mutilazioni genitali femminili per Amref, organizzazione sanitaria presente in 35 Paesi dell’Africa a sud del Sahara: “Nelle zone in cui operiamo, sono fondamentalmente dei processi identitari, che fanno parte della cultura di queste comunità e in qualche modo rappresentano il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Molto spesso questo comporta il matrimonio precoce, perché dopo aver subito la mutilazione, la ragazza viene data in sposa, non prosegue più il percorso scolastico, annullando ogni possibilità di sviluppo come persona, e si occuperà solo della gestione della casa e degli animali, eliminando ogni prospettiva”.
Mutilazioni aumentate durante il lockdown
Una battuta d’arresto ai significativi risultati ottenuti a livello globale per contrastare le mutilazioni è però stata causata dalla pandemia. Nel 2020, il confinamento a casa, come misura di contrasto alla diffusione del Covid-19, ha portato ad aumentare di 1,4 milioni il numero delle bambine vittime. A lanciare l'allarme è la Ong belga Gams, Gruppo per l'abolizione delle mutilazioni sessuali, sottolineando che la crisi sanitaria globale ha spazzato via i progressi registrati negli ultimi anni, quando il numero di piccole vittime era costantemente diminuito. L’effetto collaterale della pandemia ha portato alla chiusura delle scuole, all'isolamento domiciliare, oltre all'aumento dei matrimoni forzati al di sotto dei 16 anni. Inoltre, di fronte alla crisi economica provocata dalla pandemia, "uomini e donne che in passato effettuavano escissioni hanno visto l'opportunità di tornare a praticarle per procurarsi del denaro e dare da mangiare alla propria famiglia", denuncia Isabelle Gillette-Faye, direttrice di Gams. ”Il Covid ha costretto le persone a stare a casa - aggiunge la responsabile di Amref, Magni - e quindi ha facilitato il proseguire di questa pratica e si stima che 2 milioni in più di mutilazioni si verificheranno nei prossimi anni a causa del blocco dei programmi di prevenzione”. Quello che serve nella lotta alle mutilazioni genitali femminili, sottolinea ancora, sono finanziamenti, sensibilizzazione, consapevolezza che esiste il fenomeno e che bisogna parlarne, ma soprattutto operare con le comunità.
Il lavoro di Amref con le comunità africane
Diversi sono gli ambiti in cui Amref porta avanti progetti di contrasto alle mutilazioni genitali femminili in alcuni Paesi africani, in particolare Etiopia, Kenya, Tanzania, Uganda, Malawi e Senegal, dove l’incidenza è maggiore. Magni racconta che si tratta prima di tutto di un lavoro di sensibilizzazione a livello comunitario, per comprendere i danni che le mutilazioni provocano nelle ragazze, in particolar modo lavorando su alcuni decisori, solitamente i leader anziani dei villaggi, ma anche gruppi di giovani. Accanto alla sensibilizzazione c’è l’azione di empowerment, per far comprendere alle ragazze la possibilità che possano sviluppare il loro potenziale, affinché prendano consapevolezza dei propri diritti ed esigano in qualche modo che essi siano rispettati. Poi, c’è l’azione a livello strutturale, col rafforzamento dei sistemi socio-sanitari che si ritrovano a gestire la prevenzione e il contrasto. “Una formazione multidimensionale – rimarca l’operatrice di Amfref - perché il fenomeno non è esclusivamente sanitario, riguarda anche l'aspetto legale perché ci sono delle leggi che non vengono rispettate; riguarda le forze dell'ordine perché sono coloro che sono chiamati a monitorare la situazione, riguarda l'aspetto psicologico perché i danni psicologici sono enormi e riguardano l'aspetto educativo,solitamente le bambine sottoposte alle mutilazioni sono in età scolare e questo provoca l'abbandono degli studi”.
I risultati positivi raggiunti in alcune comunità
Passi in avanti sono stati fatti anche a livello legale in alcuni Stati. Paola Magni racconta dei risultati positivi ottenuti in alcuni Paesi: “Il processo è molto lungo perché è fondamentale che sia la comunità stessa a decidere di abbandonare la pratica. Recentemente, alcune comunità keniote sono arrivate alla decisione di abbandonare le mutilazioni. Rimane questo momento di passaggio all’età adulta con un rito, che comunque mantiene questa identità culturale, ma durante la cerimonia al posto di questo terribile taglio viene fatta una benedizione delle ragazze e la consegna di libri, che sta proprio a mostrare come la comunità si renda conto del valore di una ragazza e che esso è a beneficio della comunità oltre che di se stessa”.
Egitto e Sudan, passi verso il contrasto del fenomeno
Il governo egiziano ha recentemente sottoposto al Parlamento un disegno di legge che aumenta a vent'anni di carcere il massimo della pena per le mutilazioni genitali femminili, cui secondo i dati Onu, è stato sottoposto il 92% delle donne egiziane sposate, tra i 15 e i 49 anni. Il disegno di legge del governo prevede anche la radiazione dei medici che praticano mutilazioni genitali e la chiusura delle strutture dove vengono effettuati questi interventi. Restando in Africa, il Sudan - uno degli otto Paesi in cui oltre l'80% di donne e ragazze è sottoposto a mutilazioni genitali - ha varato una legge che punisce la pratica con tre anni di reclusione. Il paradosso, rimarca Magni è che la maggior parte dei Paesi ha una legislazione, anche molto solida, ma il problema è la sua applicazione: “Sono leggi emanate a livello centrale – dice – mentre in molti Paesi le mutilazioni genitali femminili accadono nelle zone più remote e quindi è fondamentale che accanto al processo legislativo ci siano processi di sensibilizzazione e di empowerment, per fare in modo che la comunità e le autorità locali abbiano una strategia”.
Il progetto P-ACT di Amref
Più di 600mila donne e ragazze in Europa e oltre 80mila in Italia sono vittime di mutilazione genitale, sottolinea Amref Health Africa, che in occasione dell'odierna giornata presenta il progetto “P-ACT”, Percorsi di attivazione contro il taglio dei diritti, per rafforzare capacità e competenze di reti e servizi nella prevenzione e contrasto alla pratica nei confronti di minori stranieri nelle città di Milano, Torino, Padova e Roma. L’organizzazione fa riferimento alla più recente indagine, realizzata dall'università Bicocca, che rileva la presenza a gennaio 2018 di 87mila e 600 donne escisse, di cui 7.600 minorenni, e di altre 4.600 a rischio di subire mutilazioni genitali.
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