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Manifestazioni in Etiopia Manifestazioni in Etiopia 

Il prezzo umanitario della guerra in Etiopia

Cresce la preoccupazione internazionale per il conflitto esploso nel Tigrai e per le ripercussioni sulla stabilità di tutto il Corno d’Africa. Le organizzazioni coinvolte nei progetti di cooperazione lanciano l’allarme. Il direttore del CISP e il responsabile dei progetti del VIS: parte della società etiope sempre più fragile

Stefano Leszczynski – Città del Vaticano

Nazioni Unite e Unione Africana seguono con apprensione gli sviluppi della crisi nella regione etiope del Tigrai. I combattimenti ed i bombardamenti, in corso ormai da una settimana, si svolgono nel più completo silenzio mediatico a causa dell’interruzione di tutte le comunicazioni del Paese africano sia al suo interno che verso l’esterno. Le poche notizie che trapelano riferiscono di alcune centinaia di morti tra i soldati di Addis Abeba e del Tplf, il Fronte di liberazione popolare del Tigrai partito al governo nella travagliata regione dell'Etiopia. 

Ad aver motivato il via libera del governo centrale all'intervento armato nella regione, lo scorso 4 novembre sono stati due attacchi contro altrettante basi militari federali da parte delle forze al servizio delle autorità del Tigrai. Gli attacchi sono stati smentiti dai vertici dello Stato settentrionale. Al termine della preghiera dell’Angelus, il Papa ha rivolto, domenica scorsa, il suo pensiero a quanto accade in Etiopia, esortando al dialogo e "a respingere la tentazione dello scontro armato". "Mentre esorto a respingere la tentazione dello scontro armato -  ha detto il Pontefice - invito tutti alla preghiera e al rispetto fraterno, al dialogo e alla ricomposizione pacifica delle discordie".

Il pericolo di una guerra civile

L'escalation politica e militare in corso fa temere l'avvio di un conflitto lungo e devastante che rischia di minacciare la stabilità già fragile del secondo Paese più popoloso d'Africa, con oltre 100 milioni di abitanti. Per questo motivo, nei giorni scorsi, il segretario generale dell'Onu ha chiesto alle parti coinvolte la fine delle ostilità e si è offerto come mediatore. Il premier etiope, Abiy Ahmed, in un tentativo di rassicurare partner africani ed internazionali si è limitato a dichiarare che le operazioni si concluderanno in breve tempo. Ha aggiunto che l’Etiopia, in quanto Stato sovrano, è capace di gestire i suoi affari interni, mettendo fine all'impunità esistente.

Una strada di Macallé
Una strada di Macallé

A rischio i frutti della cooperazione internazionale

L'Etiopia è dagli Anni 90 un Paese prioritario per i progetti della cooperazione internazionale. L’Italia è uno dei primi partner impegnati nello sviluppo del Paese. Eppure, nonostante crescano le preoccupazioni ed i timori, per le organizzazioni non governative italiane impegnate anche nella regione del Tigrai non sono ancora trapelate posizioni ufficiali dalla Farnesina. Sandro De Luca e Gianluca Antonelli, rispettivamente direttore del CISP e direttore dei programmi del VIS, sottolineano l’estrema fragilità di una gran parte della società etiope, nonostante il Paese abbia dato negli ultimi anni segnali incoraggianti di sviluppo. Ora il conflitto nel Tigrai rischia di aggravare la situazione umanitaria e di spostare le lancette indietro di qualche decennio.

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La situazione umanitaria

Tra i fattori di debolezza dell’Etiopia - spiega De Luca, direttore del Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli - la strutturale vulnerabilità alimentare, che nel solo Tigrai colpisce circa 600 mila persone. Il Paese, come del resto tutta la regione, è alle prese non solo con l’emergenza sanitaria del Covi-19, ma anche con la carestia provocata dall’invasione delle locuste che ha colpito tutta l’area del sahel e dell’Africa Occidentale. In Etiopia - aggiunge Gianluca Antonelli - si affronta anche un forte problema migratorio che ha portato nel Paese oltre 800mila rifugiati eritrei, sud-sudanesi e somali. Una situazione molto complessa, dunque, in cui le sfide dello sviluppo e quelle dell’emergenza si intrecciano inesorabilmente. Ora tutte le operazioni umanitarie sono bloccate.

Il primo ministro Abiy Ahmed
Il primo ministro Abiy Ahmed

L’importanza di una mediazione internazionale

La natura della crisi etiope ha radici storiche lontane e assai intricate. Difficilmente una soluzione potrà essere trovata al di fuori dell’intervento della comunità internazionale e dell’Unione africana. Resta il fatto che non si possono escludere interessi da parte di attori terzi sulla scena internazionale che possono avere un interesse nella debolezza dell’Etiopia, anche in considerazione del peso militare e politico che il Paese ha saputo conquistare in questi ultimi anni.

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10 novembre 2020, 12:22