ҽ

Il primo ministro etiope parla alla nazione Il primo ministro etiope parla alla nazione  

Le violenze in Etiopia e i rischi di un Paese antico e popoloso

Dopo il massacro avvenuto nello Stato regionale dell'Oromia domenica scorsa, è altissima la tensione anche nel territorio più a nord dell’Etiopia, quello di Tigray. Il primo ministro Abiy, premio Nobel per la pace nel 2019, deve fare i conti con diversi fronti di conflittualità in un Paese “mosaico di etnie”, come spiega la scrittrice con origini etiopi Paola Pastacaldi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il primo ministro dell'Etiopia Abiy Ahmed, ha condannato gli attacchi affermando che "i nemici dell'Etiopia" sono determinati a "governare o rovinare il Paese". Ha spiegato che la strategia usata è “armare i civili e sferrare attacchi barbari basati sull'identità. "E’ straziante - ha aggiunto - vedere accadere questo, come cittadino e come leader”.

La contrapposizione nel Tigray

Il primo ministro, Abiy Ahmed, ha autorizzato un’offensiva militare nel Tigray, la regione più a nord del Paese dove è al potere il Fronte di liberazione popolare (Tplf), dopo aver sottolineato che è stata attaccata nell’area una base militare federale. "Le nostre forze di difesa hanno ricevuto l'ordine di assumersi il compito di salvare la nazione. L'ultima tappa della linea rossa è stata superata. La forza è usata nella stessa misura per salvare il popolo e il Paese", ha scritto Abiy Ahmed in un testo pubblicato su Facebook e Twitter. Da parte sua, il presidente della regione del Tigray, Debrestion Gebremichael, ha dichiarato che il governo intende reagire perché nello Stato regione sono state organizzate le elezioni per il parlamento, a settembre, nonostante che il governo federale e il consiglio elettorale avessero chiesto di rinviarle. Il governo di Abiy ha definito il voto "illegale” e il Consiglio elettorale nazionale ha fatto sapere che le elezioni generali dovrebbero tenersi a maggio o giugno del prossimo anno.

La strage nello Stato di Oromia

Per Amnesty International sono almeno 54 le vittime di etnia Amhara rimaste uccise negli attacchi sferrati domenica primo novembre in tre villaggi nella zona di West Welega dell'Oromia, mentre la Commissione etiope dei diritti umani (Ehrc) ha parlato di 32 morti come bilancio provvisorio, affermando che quello finale sarà più alto. Uomini armati hanno sparato sui civili, hanno razziato il bestiame e hanno bruciato le case. Secondo le autorità, gli aggressori sono dell'Esercito di liberazione Oromo, che si è scisso dal Fronte di liberazione Oromo - non più impegnato nella lotta armata – ed è accusato di altri omicidi, attentati e rapimenti. Gli attacchi sono avvenuti il giorno dopo il ritiro delle forze federali da un'area considerata vulnerabile con una decisione che "suscita domande cui si deve rispondere", ha detto in una nota Deprose Muchena, direttore regionale di Amnesty International per l'Africa orientale e meridionale. Il primo ministro etiope ha fatto sapere che le forze di sicurezza sono state dispiegate nuovamente nell'area. Il presidente della commissione dell'Unione africana (Ua), Moussa Faki Mahamat, ha condannato i recenti attacchi in Etiopia. 

La condanna dell’Unione africana  

In una dichiarazione pubblicata sul sito web dell'Unione africana, il presidente Cyril Ramaphosa  invita tutte le parti interessate ad adoperarsi per allentare le tensioni nel Paese. Incoraggia inoltre gli attori politici a impegnarsi in un dialogo nazionale inclusivo e a costruire un consenso nazionale su questioni chiave", sottolineando che il fallimento di un'intesa "può avere seri impatti non solo nel Paese, ma nell'intera regione". Ramaphosa ribadisce il sostegno dell'Unione africana alle riforme avviate dal governo e si dice pronto ad assistere l'Etiopia nei suoi sforzi per promuovere la pace e la stabilità nel Paese”.

Pace con l'Eritrea ma non all'interno dell'Etiopia

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali è stato insignito del Premio Nobel per la pace 2019 per lo storico accordo con l’Eritrea di cui è stato il promotore. Ma il capo del governo deve fronteggiare la difficile complessità interna al suo Paese formato da 10 Stati regioni con fortissime spinte identitarie, come sottolinea  Paola Pastacaldi, scrittrice italiana con una nonna etiope, autrice, tra gli altri libri, di un testo intitolato "L’Africa non è nera":  

Ascolta l'intervista con Paola Pastacaldi

La complessità di un Paese antico

L’Etiopia è il più antico dei Paesi africani, il più importante dal punto di vista della popolazione. Ha una storia antichissima fondamentale per l’Africa, spiega la Pastacaldi, ma anche per il mondo. Viene definito un mosaico di etnie e purtroppo non riesce a trovare vera pace. Negli anni recenti l’economia ha conosciuto un buono slancio: il Pil cresce, ma in generale resta un Paese povero, con una popolazione fondamentalmente povera. La classe dirigente imperiale, ci spiega ancora la scrittrice, che ha guidato la lunga monarchia che si è conclusa nel 1975 proveniva dall’etnia Amhara, cui da sempre si contrappone l’etnia Oromo, discendenti degli schiavi somali.

Abyi, divenuto primo ministro nel 2018, proviene dall’etnia Oromo. Ma il punto è che si sono creati così tanti gruppi e sottogruppi che ormai è difficilissimo trovare gli interlocutori. Alla base della conflittualità nella regione dell’Oromia c’è la questione della gestione della terra ma si tratta in generale di gestione del potere e comunque è una contrapposizione molto complessa con radici antiche. Sappiamo che gli Oromi rappresentano il 35 per cento della popolazione e sono l’etnia più popolosa, salvo essere molto divisi tra loro, ma non sono al potere. Gli Amhara sono di meno.  

Conoscere i fatti e la cultura di un popolo

Pastacaldi afferma che andrebbero studiate molto bene le singole etnie, sottolineando il forte valore identitario, le peculiarità linguistiche e religiose di ognuna. La scrittrice ribadisce che nell’insieme il quadro del Paese è molto complesso e che lo era anche quando c’è stata, negli anni trenta, la campagna fascista che però in qualche modo ha dato un’immagine massificata, non corretta. Pastacaldi sottolinea la difficoltà di avere informazioni attuali per poter analizzare davvero questo “mosaico” ricordando che i media non hanno dato grande copertura in questi anni ma riconoscendo anche di recente alcune testate stanno cercando di farlo meglio. E poi, insieme con lo sforzo di seguire i fatti recenti, Pastacaldi sottolinea che sarebbe importante conoscere meglio lo spessore culturale di questo grande Paese dell’Africa recuperando la ricchezza della storia del secolo scorso, che racconta un Paese molto più ricco rispetto a quello che è emerso finora nella storiografia italiana.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

04 novembre 2020, 15:46