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Riscaldamento della Terra: la limitazione dell'aumento della temperatura del pianeta è uno dei punti dell'Accordo di Parigi sul clima Riscaldamento della Terra: la limitazione dell'aumento della temperatura del pianeta è uno dei punti dell'Accordo di Parigi sul clima

Accordo di Parigi sul clima: il futuro ancora incerto

Il 4 novembre gli Stati Uniti escono ufficialmente dall’Accordo di Parigi sulla riduzione delle emissioni di CO2 e la limitazione dell’aumento delle temperature della Terra. Ma se Biden diventa presidente, ha già promesso che rientrerà nell’Accordo approvato da Obama e dai rappresentanti di altre 195 nazioni il 13 dicembre 2015, e ad oggi non applicato

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Anche nell’ultimo faccia a faccia televisivo del 22 ottobre, i due candidati alla Casa Bianca hanno confermato le loro posizioni sulla crisi climatica. In più di 10 minuti di dibattito, lo sfidante Joe Biden ha sottolineato che i cambiamenti climatici sono “una minaccia esistenziale per l’umanità” e che “abbiamo l’obbligo morale di affrontarli”.

Il confronto Trump-Biden sulla crisi climatica globale

Ha ribadito che il primo giorno dopo la sua eventuale elezione, gli Stati Uniti rientreranno nell’Accordo di Parigi sulla riduzione delle emissioni di CO2 e la limitazione dell’aumento delle temperature della Terra, dal quale Washington esce ufficialmente oggi, al termine di una procedura avviata un anno fa dal presidente Donald Trump. Dal canto suo il candidato repubblicano è convinto che l’Accordo, approvato a Parigi dai delegati di 196 Paesi il 13 dicembre 2015, sarebbe frutto di un complotto internazionale per danneggiare gli Usa, a favore della Cina.

Dibattito sull’uso del petrolio e delle energie rinnovabili

Il democratico Biden ha poi ribadito il proprio impegno nell’allontanare l’economia degli Usa dallo sfruttamento del petrolio a favore delle energie rinnovabili, cosa che secondo l’ex vicepresidente di Obama creerebbe milioni di posti di lavoro. Per Trump, invece, questo piano comporterebbe danni enormi per l’economia americana, in particolare negli Stati che il petrolio lo producono, come Texas e Oklahoma. Su Parigi, il presidente uscente ha ribadito la sua convinzione della necessità di tirarsi indietro dall’impegno, giudicato troppo costoso. “Non sacrificherò - ha detto - decine di milioni di posti di lavoro”.

L’Accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni di CO2

L’accordo di Parigi, siglato al termine della Cop-21 (la conferenza prevista dalla convenzione Onu sui cambiamenti climatici), è uno strumento fondamentale nella lotta al surriscaldamento del Pianeta e impegna i 195 Paesi firmatari a ridurre le proprie emissioni di CO2, limitando il più possibile l’aumento delle temperature. Secondo quanto previsto dal trattato, gli Usa avrebbero dovuto tagliare le proprie emissioni del 28 per cento entro il 2025, rispetto ai livelli del 2005.

Trump, se rieletto, confermerà l’uscita dall’Accordo

Trump si è sempre dichiarato contrario a questo obiettivo, considerato dannoso per l’economia americana, e ha cercato di rinegoziarlo senza successo. Nel 2017, infatti, è stato dichiarato che il trattato siglato non avrebbe potuto subire modifiche. Per questo gli Stati Uniti si sono tirati fuori dall’Accordo, e l’addio sarà effettivo proprio oggi, quando si dovrebbe conoscere il nome del nuovo presidente degli Stati Uniti. Una rielezione di Trump confermerebbe l’uscita degli Usa dal trattato. Alla prossima Cop26, che sarà ospitata dalla Gran Bretagna alla fine del 2021, con la co-presidenza dell’Italia, sarebbero dunque Cina ed Europa a dover tracciare il cammino verso una decarbonizzazione dell’economia globale entro il 2050.

Negli Stati Uniti il 15 per cento delle emissioni globali

Sul piatto non ci sono solo le emissioni di gas serra, questione comunque fondamentale, visto che gli Stati Uniti sono al secondo posto dopo la CIna nell'emissione di gas climalteranti. Ma verrebbe meno anche il sostegno finanziario garantito dall’allora segretario di Stato, Hillary Clinton, ai Paesi più bisognosi per la transizione verso un’energia pulita. Diversi osservatori hanno evidenziato che questo scenario comporterebbe seri danni anche all’economia statunitense e alla leadership globale di Washington in diverse questioni diplomatiche.

Il monito del Papa: serve un “corale impegno” di tutti i Paesi

Perché finora anche molti altri Stati firmatari non hanno fatto tutto il possibile per mantenere gli impegni presi a Parigi, come conferma Tomas Insua, direttore esecutivo e cofondatore del Movimento cattolico mondiale per il clima (Gccm), ai nostri microfoni. Papa Francesco aveva paventato questo rischio, all’Angelus dello stesso 13 dicembre 2015, definendo l’accordo “storico”, ma sottolineando che la sua attuazione “richiederà un corale impegno e una generosa dedizione da parte di ciascuno”.

Insua (Gccm): ancora molto da fare per rispettare gli impegni 

Chiedendo che “venga garantita una particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili, il Papa dell’enciclica Laudato si' esortava tutta la comunità internazionale “a proseguire con sollecitudine il cammino intrapreso, nel segno di una solidarietà che diventi sempre più fattiva”. Una richiesta di passare dalle parole ai fatti, che ancora attende di essere completamente accolta dai Paesi firmatari, come sottolinea Tomas Insua.

Ascolta l'intervista a Tomas Insua (Movimento cattolico per il clima)

R. – L’Accordo di Parigi è il piano dell'umanità per combattere la crisi climatica. Una crisi globale che ha bisogno di una risposta globale di tutte le nazioni del mondo, coordinate per risolvere questo problema.

Se gli Stati Uniti, che sono il secondo Paese più inquinante dal punto di vista delle emissioni di CO2, uscissero dall’Accordo, che effetti ci sarebbero?

R. – Gli Stati Uniti, in realtà oggi sono il primo paese, in termini storici, per inquinamento ancor più della Cina. Perché ciò che conta è l’inquinamento di CO2 degli ultimi decenni e secoli, dato che l’anidride carbonica si accumula nell’atmosfera per molto tempo. Le conseguenze di un’uscita dal Trattato sono terribili, veramente, ma l’uscita formale, diplomatica, dall’Accordo di Parigi, è del tutto irrilevante, perché gli Stati Uniti sono già usciti  4 anni fa, il primo giorno dell'amministrazione Trump essendo l'Accordo volontario. Nella pratica dunque nessun progresso in quattro anni e una serie di dismissioni delle normative ambientali che rendono sempre più improbabile il raggiungimento delle emissioni zero entro il 2030-2040.

 

Non c'è stata nessuna reazione da parte, ad esempio, delle imprese che stanno ora investendo in fonti rinnovabili?

R. – Il problema è che, se a livello del governo si promuovono questi combustibili fossili è difficile agire per le industrie delle energie pulite. Ovviamente il rinnovabile ha continuato a crescere tantissimo, negli Stati Uniti e fuori, ma non è ancora sufficiente, quindi il risultato di queste elezioni potrebbe effettivamente incidere sulla crisi climatica del futuro. Altri Paesi, per esempio la Cina, il Giappone, hanno fissato obiettivi a lungo termine più aggressivi nelle ultime settimane, e negli ultimi mesi. Dunque ci si continua ad attivare ma in modo ancora insufficiente. L'umanità è molto, molto lontana dal risolvere questa crisi che è sempre più grave: siamo molto lontani dall'obiettivo dell'Accordo di Parigi che è di limitare l'aumento della temperatura a 1,5 gradi centigradi. C'è tanto lavoro da fare.

 

Quindi anche altri Stati non hanno fatto la loro parte per rispettare gli impegni dell'Accordo?

R. – Ci sono davvero pochi Paesi che hanno veramente fatto quello che si deve fare, e anche questa è la ragione per la quale il ruolo degli Stati Uniti è importante, perché dalle scelte staunitensi potrebbero derivare incentivi anche per altri Paesi. La crisi climatica, se guardiamo alle ultime settimane, è sempre più grave. Come dice la Laudato si', “Il grido della Terra e il grido dei poveri” è più intenso che mai. Per esempio, in Groenlandia un paio di mesi fa è stato pubblicato uno studio secondo il quale i ghiacciai hanno passato già il punto di non ritorno. Domenica scorsa la tempesta più forte del 2020 ha colpito le Filippine, per effetto della crisi climatica, con venti di 315 km all’ora. Più di un milione di persone evacuate, tanti morti, in mezzo al Covid-19… quindi il grido della Terra, il grido dei poveri è veramente fortissimo. Sì, c'è bisogno di risolvere questa crisi e l'umanità deve lavorare insieme per trovare soluzioni a questo problema.

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04 novembre 2020, 08:00