50 anni fa una rivoluzione nel mondo della comunicazione
Andrea De Angelis, Silvia Giovanrosa, Alessandro Guarasci, Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
L’Italia degli anni Sessanta è un Paese profondamente mutato rispetto al periodo del dopoguerra. L’industrializzazione, l’impennata dei consumi e la scolarizzazione di massa sono alcuni dei tratti distintivi di questa trasformazione. Nelle case sono sempre più diffusi gli elettrodomestici; una famiglia italiana su cinque possiede un televisore e milioni di persone possono seguire in diretta Tv un avvenimento sportivo mondiale: le Olimpiadi di Roma del 1960. Sono gli anni del boom economico, alimentato dalla crescita della produzione industriale. Uno dei volti di questa Italia che cambia è l’urbanizzazione: nel 1971 le persone che abitano nelle aree metropolitane sono 23 milioni e 300 mila, con un aumento di quasi 7 milioni rispetto a vent’anni prima. Un altro indicatore della grande trasformazione della società italiana è la rapida diffusione del telefono, non solo nelle regioni più sviluppate. Uno strumento, sempre più capillare, che collega le tante facce dell’Italia, distanti economicamente e geograficamente.
Uniti anche se lontani
Attraverso il filo del telefono scorrono parole legate al mondo del lavoro e dell’economia, ma soprattutto all’ambito degli affetti. Le famiglie possono sentirsi più vicine, anche in un periodo storico fortemente segnato dalle migrazioni. In quegli anni molte persone, in particolare del sud Italia, cercano opportunità di lavoro nelle regioni settentrionali. La “comunità meridionale” residente nel Centro-Nord, passa dalle 975.000 unità del 1951 ad oltre 3 milioni nel 1971. Il telefono è il mezzo più efficace per unire le famiglie. Il telefono, ieri come oggi, annulla distanze e combatte solitudini. Proprio per rinsaldare e tenere vivi i legami affettivi, è un mezzo imprescindibile, spesso l'unico "ponte" tra mondi lontani. Per questo l'Elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, non fa mancare le ricariche telefoniche tra gli aiuti destinati a poveri e profughi.
L'era delle centraliniste
Il telefono diventa sempre più un mezzo che arricchisce spazi domestici e pubblici. I telefoni a gettoni installati nel 1968 sono quasi 83 mila, soprattutto nelle città di Roma, Firenze e Genova. Sono anni in cui le telefonate degli italiani che si devono mettere in contatto con un utente con prefisso diverso dal proprio, si aprono con questa frase: “Pronto signorina, mi dia questo numero”. Il collegamento può avvenire solo tramite il centralino e a rispondere, solitamente, è una voce femminile. Proprio le centraliniste sono tra i simboli di un'Italia che sperimenta il cambiamento e assaggia la modernità. Sono soprattutto donne la forza lavoro per questo impiego nato negli ultimi decenni dell'Ottocento e poi esploso nel dopoguerra. Tra “i ferri del mestiere” ci sono cavi, cuffie e tre levette: una per il "chiamante", un’altra per il "chiamato" e una terza per l'ascolto. Rispondono all'apparecchio e poi mettono in comunicazione due utenti. Ma nel 1970, anche nel mondo della telefonia, si registrano profondi cambiamenti.
L’avvento della teleselezione
Una data importante, nel cruciale settore della telefonia, è il 31 ottobre 1970. In Italia, grazie all’avvento della teleselezione, gli oltre 6 milioni di abbonati, compresi quelli che abitano nelle più piccole località, sono in grado di collegarsi tra di loro automaticamente e senza dover ricorrere al centralino. L’Italia è uno dei primi Paesi al modo a completare su tutto il territorio nazionale il servizio di teleselezione. Le chiamate tra utenti con prefissi diversi sono ora dirette e mettersi in contatto diventa più semplice e veloce. Migliora inoltre la qualità delle comunicazioni. La teleselezione non è solo un progresso tecnologico, ma anche un traguardo che consente di rompere l’isolamento delle are rurali del Paese. Avvicina le periferie e si amplia notevolmente il traffico telefonico. La stampa da ampio spazio all'avvenimento. Un'emissione di francobolli delle Poste del novembre 1970 è dedicata al "completamento della rete telefonica teleselettiva".
Una rivoluzione come internet
Per il mondo della telefonia è stata una vera rivoluzione il passaggio alla teleselezione. Un progresso tecnologico reso possibile grazie allo sforzo organizzativo della Sip e della Stet, società finanziaria che operava nel settore delle telecomunicazioni. Una rivoluzione simile, come impatto, all’arrivo negli anni 90 di internet. Nel 1970 i centralinisti si dovettero riconvertire e per i tecnici fu una nuova sfida manutenere e aggiornare i nuovi apparati che permettevano agli italiani di collegarsi in pochi secondi con tutto il mondo. È quanto sottolinea, nell’intervista rilasciata a Radio Vaticana Italia per il il programma “Doppio Click”, Biagio Paribello che cinquanta anni fa era un giovane tecnico della Sip addetto alle centrali nella zona di Salerno.
Distanze accorciate
Il passo compiuto 50 anni fa con la teleselezione ha reso l’utente più autonomo: a partire dal 31 ottobre del 1970 non deve più ricorrere all’ausilio di un’operatrice telefonica. Si tratta di una non secondaria rivoluzione tecnologica che precede altri importanti progressi nel settore della telefonia, fino ad arrivare alla nascita e alla diffusione del cellulare. Uno strumento che rende ancora più evidente il tratto distintivo della teleselezione: quello di “accorciare le distanze”. La tecnologia è uno strumento a servizio dell’uomo e anche la telefonia ha questo compito: ci consente di trasmettere informazioni e soprattutto emozioni. Grazie al telefono possiamo comunicare, ovvero mettere in comune con uno o più interlocutori anche aspetti del nostro quotidiano, della nostra vita.
Come comunicare
Le possibilità offerte dalla tecnologia fanno dunque sorgere domande cruciali: con quali parole riempire i contenitori tecnologici? Come comunicare? Su questi importanti interrogativi si è soffermato, durante il Pontificato, anche Papa Francesco. Rivolgendosi ai partecipanti alla Plenaria del Dicastero per la comunicazione, , il Pontefice aveva sottolineato che “si comunica con tutto”. "La comunicazione è veramente efficace solo quando diventa testimonianza".
“Si comunica con l’anima e con il corpo; si comunica con la mente, con il cuore, con le mani; si comunica con tutto. Il vero comunicatore dà tutto, dà tutto sé stesso - come diciamo nella mia terra: 'mette tutta la carne al fuoco', tutta, non risparmia per sé. Ed è vero che la comunicazione più grande è l’amore: nell’amore c’è la pienezza della comunicazione: amore a Dio e tra noi… Il comunicatore deve far capire il peso della realtà dei sostantivi che riflettono la realtà delle persone. E questa è una missione del comunicare: comunicare con la realtà, senza edulcorare con gli aggettivi o con gli avverbi. “Questa è una cosa cristiana”: perché dire autenticamente cristiana? È cristiana! Il solo fatto del sostantivo 'cristiano', 'sono di Cristo', è forte: è un aggettivo sostantivato, sì, ma è un sostantivo. Passare dalla cultura dell’aggettivo alla teologia del sostantivo. E voi dovete comunicare così”.
"Le parole del Papa? Uniche"
"Non conoscevo queste parole pronunciate dal Papa sulla comunicazione, le definirei di una bellezza unica". Così durante l'intervista a Doppio Click il professor Sergio Belardinelli, sociologo ed ordinario all'Università di Bologna. Per l'esperto di comunicazione, è fondamentale puntare il dito contro il "valore ontologico degli aggettivi", con il quale si tende a dare un senso alle parole staccato dalla realtà. "Francesco invece - afferma - ci riporta nella realtà, e questo è molto importante". Lo è, secondo Berardinelli, anche per cercare di comprendere se con l'aumento delle tecnologie vi sia stato anche un miglioramento qualitativo della comunicazione. "Oggi occorre, me lo lasci dire, una educazione alla comunicazione, anche per i più giovani che hanno strumenti formidabili per dialogare, ma il rischio è che il mezzo finisca con l'usare la persona e non viceversa", afferma ancora il sociologo.
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Tecnologie e insidie
Il telefono, come altri strumenti di comunicazione, non è esente da rischi e da minacce. Rivolgendosi il agli studenti del Liceo "Visconti" di Roma, in occasione dell'Anno Giubilare Aloisiano, Papa Francesco aveva ricordato che il progresso tecnologico deve essere interpretato e vissuto correttamente. Altrimenti, si corre il pericolo di diventare schiavi delle tecnologie.
Comunicazione e tenerezza
Oggi il mondo della telefonia e della comunicazione, rispetto al 1970, è profondamente mutato. Ma resta un aspetto immutabile: per comunicare meglio, come direbbe Papa Francesco, non è solo necessario avere campo. Nel per la XLVIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del primo giugno 2014, il Santo Padre sottolinea che la comunicazione è innanzitutto prossimità. "Non basta passare lungo le ‘strade’ digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza".
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