Migranti: si continua a morire nel Mediterraneo
Michele Raviart - Città del Vaticano
Continua il dramma delle migrazioni nel Mediterraneo. Una piccola imbarcazione è naufragata al largo di Sfax, in Tunisia, e almeno 13 persone sono morte. Il natante di fortuna, affondata la scorsa domenica, trasportava almeno 29 persone provenienti principalmente dall’Africa sub-sahariana. Da due giorni continuano le ricerche in mare e tra i tredici corpi ritrovati finora anche quelli di sette donne, due bambini ed un neonato.
43 persone disperse a largo di Malta
Sembra poi segnata la sorte di altre 43 persone sparite a largo di Malta. Da quasi 24 ore il servizio di sostegno indipendente alle navi che attraversano il Mediterraneo Alarm Phone, non ha notizia di una nave travolta da una tempesta nella zona Sar (ricerca e soccorso) del piccolo Stato.
La Libia non è un porto sicuro
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni invece ha denunciato 390 rimpatri in Libia negli scorsi tre giorni. Si tratta di persone intercettate dalla guarda costiera libica e riportate un Paese che l’Oim ribadisce “non è un porto sicuro”. Una situazione drammatica, come spiega don Mattia Ferrari, sacerdote a Nonantola, in provincia di Modena e cappellano dell’ong Mediterranea, sulla cui nave si è imbarcato lo scorso anno per portare soccorso ai migranti.
R. - La situazione rimane assolutamente tragica. Il problema fondamentale dei flussi migratori è l’assenza di canali legali di accesso, che comporta per chi si trova nella condizione di dover migrare l’impossibilità di avere altre vie che non siano il passaggio per le rotte che ben conosciamo attraverso il Mediterraneo. In Libia la situazione rimane drammatica. La settimana scorsa tre migranti nigeriani sono stati arsi vivi. Uno è morto e gli altri due sono in condizioni molto serie. Continuano in Libia anche le sparizioni. Noi siamo in contatto con familiari di persone migranti, che in Libia spariscono nel nulla. Questo perché purtroppo, come ci dicono le persone migranti stesse quando le soccorriamo, stanno scampando da un inferno. I campi in Libia restano un inferno e questo è inaccettabile nel 2020. Torture, stupri, sparizioni, cose terrificanti avvengono quotidianamente.
Qual è la situazione nel Mediterraneo in questo momento?
R. - Il Mare Mediterraneo resta un mare segnato prevalentemente da due cose. Innanzitutto dai respingimenti. Ci sono persone che stanno scappando dell'inferno libico, che vengono catturate dalla cosiddetta Guardia costiera libica, finanziata dai progetti europei e dall’Europa. Abbiamo testimoniato e documentato che perfino con il coordinamento di Frontex a volte la Guardia costiera libica cattura i migranti in mare. Questi respingimenti, come ha denunciato il Santo Padre, sono una grandissima violazione dei diritti umani e sono una cosa inaccettabile. Dall’altra parte continuano ad avvenire questi naufragi, come quello a largo della Tunisia. Ieri abbiamo lavorato per ore sul caso di queste 43 persone che stavano naufragando in zona Sar maltese. Siamo in attesa di conferma, ma al momento è molto probabile che queste 43 persone siano annegate. Il non intervento causa questo. Anche perché le navi e la società civile – le navi delle ong - sono quasi tutte bloccate per motivi pretestuosi.
Di recente in Italia sono stati modificati i decreti sull’immigrazione. Come giudichi i cambiamenti che ci sono stati?
R. - Le modifiche che sono state fatte presentando alcuni piccoli passi avanti anche se permangono delle forti criticità. Anche se il tema di fondo resta. Per esempio i cosiddetti migranti climatici, come ha denunciato sempre il Santo Padre nella Laudato si’, continuano a non avere una protezione internazionale e non è facile per loro rientrare nella casistica di quella che veniva chiamata appunto “protezione umanitaria”, e che ora si chiama “protezione speciale”. Soprattutto resta in piedi l'impianto per cui rimane fortissimo il legame tra il permesso di soggiorno e quindi la libertà di circolazione e il contratto di lavoro. Oppure il fatto di poter comunque e in ogni caso chiedere protezione solo quando sei già arrivato in Italia e in Europa. Quando comunque hai già rischiato seriamente la tua vita. Poi resta per noi fonte di forte preoccupazione il fatto che resta in piedi l’impianto penalizzante per chi offre soccorso in mare. Anche qui si fa qualche piccolo passo avanti, ma resta il problema di fondo che le navi devono coordinarsi con lo Stato competente su dove è avvenuto il soccorso. Il problema è che se i soccorsi arrivano nella zona Sar libica, che non sono acque territoriali libiche, ma sono acque internazionali, in teoria tu dovresti continuare a farti coordinare dalla cosiddetta Guardia costiera libica. Quindi in teoria noi saremmo costretti nuovamente a disobbedire, perché, come ha sempre riconosciuto la magistratura italiana, noi non possiamo portare le persone migranti in Libia, che non è un porto sicuro.
Tu sei cappellano della ong Mediterranea. Che cosa significa per te questo impegno a livello personale e pastorale?
R. - Per me è un onore. Significa essere accanto a persone che per me sono straordinarie e che sono appunto queste ragazze e ragazzi provenienti da mondi diversi e lontanissimi anche tra loro. Si va dai centri sociali alle parrocchie, quindi con varie provenienze, sia culturali, che geografiche, e che però sono accomunate dal fatto di aver sentito nel proprio cuore il bisogno di farsi prossimo, fratelli e sorelle, alle persone migranti che soffrono in Libia e rischiano la vita in mare. Persone straordinarie che veramente, mi evangelizzano, nel senso che dimostrano continuamente quanto sia viva e vera la parabola del buon samaritano. Invitano a vincere la globalizzazione dell’indifferenza, ad aprire il nostro cuore a questo sentimento di compassione viscerale, di amore verso le persone che stanno soffrendo e che stanno lottando per la libertà. È una grande fortuna, in cui, più che dare, ricevo molto dai miei compagni di viaggio. Il grandissimo impegno con cui ieri hanno lavorato e provato a fare di tutto perché queste 43 persone che stanno naufragando in zona Sar maltese venissero soccorse, il modo in cui i miei compagni di viaggio hanno lottato, è una grandissima lezione di umanità, di giustizia e di Vangelo, che tutti loro danno continuamente e che danno continuamente anche a me. Poi per me significa anche aiutare queste persone nel loro rapporto con la Chiesa. Viviamo in un momento storico pieno di difficoltà, ma ci sono stati anche dei passi in avanti rispetto al passato, per cui c’è questa possibilità di camminare insieme, Chiesa e persone di buona volontà: lo vediamo in tantissime realtà è lo vediamo anche dentro Mediterranea. Vedere ragazze e ragazzi, non solo cattolici, ma anche atei, agnostici e di altre religioni, che percepiscono la Chiesa cattolica come una sorella, un'amica. che cammina con loro per la costruzione della civiltà dell’amore. In un momento così pieno di tenebre, ci sono anche queste luci che sono la speranza che veramente possa sorgere un mondo nuovo.
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