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A Messina si è costituita la Rete permanente dei Beni Comuni

Un impegno preso e un invito aperto: così a Messina il 4 e il 5 ottobre scorsi, nella prima Assemblea nazionale della Rete. 19 organizzazioni firmano un Manifesto con i principi costitutivi e gli obiettivi. Tema centrale il superamento delle categorie di pubblico e privato per favorire la partecipazione della comunità nella promozione e difesa dei "beni in comune" premessa di una società migliore

Adriana Masotti - Città del Vaticano                   

A Messina, simbolo di un sud poco valorizzato, ma con grandi potenzialità, la prima Assemblea Nazionale per il lancio di una Rete permanente dei Beni Comuni con la presentazione del Manifesto per la “Costituzione di una rete permanente per i beni comuni, la conversione ecologica e le generazioni future”. A firmarlo 19 realtà associative che, aderendo al progetto, si propongono di presentare una nuova visione in grado di trasformare la società. Provengono da mondi di riferimento e aree di competenza molto diversi tra loro e anche lavorare insieme rappresenta una bella sfida. Sono: Alleanza della Generatività, AlterLab, Associazione CommON, Asvis, Comitato Rodotà, Confcooperative-Federsolidarietà, Favara Cultural Park, Fondazione Finanza Etica, Fondazione Horcynus ORCA, Fondazione Riusiamo l’Italia, Forum delle Associazioni Familiari, Forum del Terzo Settore, L’incontro, L’Italia che cambia, On! Impresa Sociale, Vita, R&P Legal, Slow Food Italia, Social Innovators Community e Fondazione Symbola.

L'invito ad aderire per costruire qualcosa di nuovo

Ma la Rete è aperta, anzi, si augura nuove adesioni nei prossimi mesi. “Queste organizzazioni ritengono che su poche e selezionate questioni fondamentali per il Paese sia necessario 'andare oltre' le proprie posizioni di parte”, si legge in un comunicato. Tutto è iniziato nel marzo scorso in pieno lockdown con riunioni a distanza, arrivando ad un primo documento per la costruzione della Rete e a un manifesto, quello di Messina, in cui si rende pubblica l’attività. I firmatari specificano: "L’obiettivo è costruire nuove forme economiche e insieme un nuovo sistema sociale in cui la responsabilità delle comunità ritorni ad essere centrale nella vita dei territori e che sia in grado di attrarre competenze e risorse finanziarie dal pubblico, dal privato e dalla collettività. E questo richiede un nuovo protagonismo dei cittadini come singoli, ma soprattutto come comunità."

In "Fratelli tutti" una spinta autorevole all'azione

Sono, dunque, i valori della partecipazione e della condivisione alla base del progetto che trova un sostegno nell’ultima enciclica di Francesco. ‘’ “è un chiaro sforzo per andare oltre l’attuale assetto economico e favorire su tutti i piani, non solo quello politico e istituzionale, il rafforzamento del legame sociale che ci vede protagonisti”, afferma su Vita, il portale online del Terzo Settore, il professor Mauro Magatti di Alleanza della Generatività, che ha aderito alla Rete. “Noi vediamo l’enciclica - prosegue - come una spinta autorevole a procedere sulla strada che abbiamo intrapreso, come contributo alla costruzione di un mondo che, a seguito dell’emergenza sanitaria, dovrà essere trasformato in tante sue dinamiche”.

Dotti: guardiamo all'Italia, ma anche all'Europa

Ma che cosa c'è all'origine della Rete permanente dei Beni Comuni? Lo spiega ai microfoni di Pope, Giovanni Dotti, amministratore delegato di On Srl Impresa sociale, una delle organizzazioni in prima linea nel progetto, un progetto che, precisa Dotti, guarda al Paese Italia, ma vuol raggiungere anche l'Europa, un continente che ha bisogno di riscoprire i valori propri della sua tradizione:

Ascolta l'intervista a Giovanni Dotti

R. - Si è arrivati alla Rete attraverso diverse strade, riflessioni culturali e pratiche concrete che in questi anni sono state agite sul territorio e, devo dire, grazie a diverse persone che hanno rinunciato al proprio protagonismo singolo per provare a partorire qualcosa che vada oltre ciò che era stato già fatto. La questione dei beni comuni è abbastanza semplice, ma molto complicata in questo tempo, perchè è il tentativo di dire che ci sono cose, relazioni, valori, diritti e doveri che non possono essere né lasciati alla dimensione pubblica, nè consumati nella dimensione privata, speculativa. Da lì è nato un percorso esattamente nove mesi fa. Poi c'è stato il lockdown e il lavoro attraverso il digitale, aggregando oggi una ventina di organizzazioni che hanno firmato il manifesto è che adesso si pongono l'obiettivo nei prossimi sei mesi di costituire, anche dal punto di vista formale, questa Rete. Vedremo, il percorso è aperto anche altri, in questo spirito però,  non con l'idea di portar via spazi, ma di allargare quelli dell'impegno.

Che cosa intendete esattamente per beni comuni?

R. - Beni comuni sono quelle cose materiali e immateriali, quelle forme relazionali che rendono possibili i diritti e i doveri nella dignità umana e quindi dall'acqua al sistema di welfare, dalle scuole ai trasporti, dai beni culturali ai beni ambientali, cioè tutte quelle situazioni che non possono essere né possedute in termini esclusivi da una persona o da un'organizzazione singola privata, n'è possono essere alienate in forme burocratico-tecniche come quella dello Stato. Poi le proprietà possono essere anche private o pubbliche, ma è chiaro che su quei beni non si può n'è disperdere valore ed energia, come spesso succede nella dimensione burocratica statuale, n'è speculare in termini economici finanziari come spesso succede nella dimensione capitalistica.

Voi volete coinvolgere i territori e le comunità, insomma la partecipazione è uno degli elementi principali della Rete...

R. - Assolutamente, c'è una dimensione politica che è il tentativo di innervare la democrazia rappresentativa con una democrazia partecipativa attraverso dei luoghi e dei simboli concreti sul territorio, pensi ad una casa abbandonata o una chiesa abbandonata o ad un campo incolto, piuttosto che ad un paesaggio o alla tutela della salute su un territorio, il Covid ci ha insegnato tante cose da questo punto di vista. Questa è certamente una proposta di natura politica, nel senso nobile del termine, e dall'altra parte una proposta anche economica. Perchè poi questi beni sono di fatto mercati interni, cioè sono la possibilità di portare valore a ciò che invece viene tendenzialmente abbandonato, oppure drenato da dimensioni speculative. 

Spesso si torna a parlare della fragilità del nostro territorio, ad ogni pioggia diciamo eccessiva. L'ambiente è un bene comune anzi è la nostra casa comune.  Vi occuperete anche di questo?

R. - Assolutamente sì, ed è molto bello che lei mi faccia una domanda sulla fragilità. Perché io credo che la fragilità ambientale sia lo specchio anche della nostra fragilità umana e la nostra tradizione, sia essa religiosa o civile, è che la capacità di assumere la propria fragilità come un elemento di valore ha costruito poi istituzioni, forme sociali ed economiche che hanno permesso non solo la tutela di questi beni, ma la loro valorizzazione. Pensi cosa sono state le Misericordie che lavoravano sulla morte, piuttosto che le cooperative abitative all'inizio del '900, o le banche di Credito Cooperativo: sono tutte fragilità che si mettono insieme e che però sono in grado di valorizzare il poco che c'è. Traduco: la condivisione per noi è un metodo economico, non è semplicemente una gratuità che viene quando si è ricchi, è una modalità di intendere le relazioni umane e quindi la fraternità.

Ci sono tanti aspetti, anche i beni confiscati alle mafie che poi diventano un bene per la collettività, i beni relazionali, la necessità di un'economia diversa che non scarti le persone ecc... In tutto questo vi è di sostegno, penso, anche la nuova enciclica di Papa Francesco "Fratelli tutti"...

R. - Certamente sì, nel senso che la fraternità è in fondo la grande mancante degli ultimi 300 anni di vita occidentale, in particolare. La rivoluzione francese ha esaltato soprattutto libertà e uguaglianza, la fraternità ha trovato pochissime forme, se non nella retorica generale del 'vogliamoci bene', mentre la fraternità è una via umana per dare vita alla vita, non è un'opzione moralistica, è probabilmente la via più realistica per essere felici.

Voi con la Rete vi proponente come una realtà a livello nazionale? A che cosa puntate?

R. - Ovviamente sì, la nostra iniziativa non ha una dimensione regionale, anche se il manifesto è stato firmato a Messina. Messina è simbolica, abbiamo scelto un luogo del sud perché il sud rischia una deriva mentre ha una potenzialità enorme. L'abbiamo fatto a Messina all'interno proprio di un'esperienza di bene comune, la Fondazione Horcynus ORCA che ha valorizzato ambienti, situazioni, relazioni e persone come carcerati e altre persone in difficoltà, costruendo un bene oggi a disposizione di tutti e che prima era abbandonato. Direi ancora di più, ci proponiamo non solo a livello italiano, ma europeo. Io credo che la sfida è almeno continentale, perché il tema dei beni comuni è una tradizione profonda di natura europea che poi via via è stata abbandonata e che oggi è il caso di riprendere e di rigenerare dentro la modernità.

E lei pensa,che questo sia il momento opportuno per questa operazione?

R. - Non è solo opportuno, è urgente, è importante, noi siamo alla terza grande crisi del mondo e in particolare del mondo occidentale. Abbiamo avuto le Torri Gemelle, quindi la diffusione del terrorismo, abbiamo avuto la grande crisi finanziaria, quindi il crack dei sistemi tecnico-finanziari, adesso abbiamo avuto la crisi pandemica e quindi la percezione, appunto, che non siamo solo potenza, ma abbiamo bisogno di comunità per sostenere le difficoltà della vita. Quindi è opportuno inserire un nuovo paradigma. Io non so sinceramente se ce la faremo, io credo che sia un dovere, sono anche un papà, e credo che dobbiamo consegnare ai nostri figli un sogno all'altezza di ciò che abbiamo ereditato e che sia in grado di far andare un po' più in là e un po' meglio l'umanità.

Per rendere più concreto tutto quello che lei ha detto fin qui, può dirci da quale iniziativa, appunto concreta,  pensate di partire?

R. - Ma noi adesso, al di là del fare, dobbiamo vedere anche chi ci starà a questa idea, perché c'è anche un lavoro culturale da fare. Tante cose sono già state fatte, dal Terzo settore, ma anche dalla pubblica amministrazione e dal privato. Non è che ci sono i buoni e cattivi, io credo che bisogna proprio andare oltre l'idea binaria del privato e del pubblico come esclusività e che si debba contribuire a far nascere nuovi spazi. Poi in concredo, identificheremo alcuni luoghi particolarmente simbolici da rigenerare, magari appoggiando realtà che lo stanno già facendo e in questi giorni in Sicilia ne ho incontrati diversi. D'altra parte immaginiamo di strutturare anche un sistema finanziario che sia in grado di aiutare le realtà concrete a vivere e cioè di permettere alle tante esperienze positive italiane, ma anche europee, di trovare una dignità dentro il dibattito pubblico e dentro l'economia. Per ora abbiamo firmato un manifesto insieme con queste 19 organizzazioni, sperando che se ne uniscano altre. Tra l'altro siamo di estrazione molto diversa: usando parametri del Novecento, siamo di destra, di sinistra e di centro, credenti e non credenti, e in questo l'enciclica di Papa Francesco ispira. La fraternità non porta a costruire immunità, ma a costruire comunità e quindi faccio un appello a tutte le persone singole o organizzate ad aderire, o almeno a provare ad essere curiose e a guardare dentro la nostra iniziativa, perchè rappresenta una bella possibilità.

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07 ottobre 2020, 10:27