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Scontri notturni in Nagorno Karabakh Scontri notturni in Nagorno Karabakh 

Caucaso: oltre alla guerra il dramma umanitario

Il conflitto in Nagorno-Karabakh, la regione caucasica contesa, prosegue tra continue violazioni della tregua tra armeni e Azerbaigian. I combattimenti, che hanno già causato oltre 5 mila morti, tra militari e civili, stanno sempre più coinvolgendo la popolazione inerme in fuga dalla guerra. La Chiesa è impegnata a far fronte ad una crisi umanitaria crescente. Ne parliamo con l’arcivescovo armeno, monsignor Raphael Minassian

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Continua la guerra aperta tra armeni e azeri in Nagorno-Karabakh, la regione contesa da oltre tre settimane al centro degli scontri armati che stanno coinvolgendo sempre di più la popolazione civile. Le tregue, prima quella mediata dalla Russia, poi quella raggiunta grazie all’intervento degli Stati Uniti, vengono continuamente violate. Migliaia i civili in fuga dai bombardamenti. Si tratta di armeni che trovano accoglienza in Armenia, grazie all’intervento della Chiesa cattolica, della Caritas e di altre organizzazioni umanitarie. L’emergenza umanitaria sta diventando sempre più grave – afferma a Pope l'arcivescovo per gli armeni cattolici dell'Armenia e dell'Europa dell'Est, monsignor Raphael Minassian.

Ascolta l'intervista a monsignor Minassian

Vicini alla catastrofe

R. – La situazione è molto grave, potrei dire catastrofica. Noi facciamo tutto il possibile da parte dalla Chiesa tramite la Caritas, che è la mano della beneficenza, dell'aiuto umanitario della chiesa cattolica e praticamente tutti quanti, clero e laici, tutti quanti siamo al servizio di una grande popolazione migrante, che ha lasciato le proprie case in Nagorno-Karabakh e ha trovato un rifugio in Armenia, dove abbiamo accolto e stiamo ancora aiutando più di 16 mila persone.

Di che cosa hanno bisogno queste persone che sono fuggite dalle loro case?

R. – Praticamente certe organizzazioni umanitarie hanno detto che con un intervento di un paio di mesi risolvono il problema. Ma invece la situazione è molto più grave, è molto più profonda, perché, prima di tutto, siamo alle porte dell’inverno, una stagione, qui da noi, in cui la temperatura che si registra è di 17 o 22 gradi dotto zero. E’ un freddo impossibile da sopportare, anche perché nelle case non ci sono mezzi di riscaldamento, mezzi di conforto. La maggioranza dei migranti è costituita da mamme, figli e nonni. I mariti, gli uomini sono rimasti a difendere le loro proprietà, ma purtroppo la gran parte degli edifici è distrutta di tutte le case sono distrutte. Il conflitto, infatti, non avviene soltanto tra gli eserciti, ma coinvolge anche i civili, persone e famiglie intere, che non hanno niente a che fare con questa guerra, con la politica. Quindi è una situazione disastrosa. 

La prima necessità di queste persone è il cibo. Noi riceviamo gli alimenti e li distribuiamo a tutte le famiglie. Si tratta di nuclei molto numerosi, con madre, padre, 10 o 12 figli e altri parenti. La seconda esigenza sono i medicinali per curare le malattie di bambini e dei più anziani. Poi li aiutiamo a riscaldare i luoghi dove stanno vivendo e forniamo l’occorrente per cucinare. In questi giorni sto scrivendo dappertutto in Europa e in America per avere un concreto supporto per risolvere questa situazione.

Stanno arrivando aiuti dall’estero?

R. – A dire la verità, l'unico aiuto che è arrivato è quello della Caritas internationalis, poi dagli Stati Uniti e da altre organizzazioni. Noi, goccia dopo goccia prendiamo tutto e distribuiamo alle famiglie che ne hanno bisogno.

Il Papa ha esortato a non perdere la speranza e a pregare per la pace in Caucaso…

R. – La speranza è che si arrivi ad un rispetto reciproco, ognuno con la propria identità. Rivolgiamo al Signore la nostra preghiera, affinché venga risparmiata la vita di persone innocenti.

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27 ottobre 2020, 11:33