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Le manifestazioni di martedì 11 agosto a Bamako (Annie Risemberg / Afp) Le manifestazioni di martedì 11 agosto a Bamako (Annie Risemberg / Afp)

Mali, la piazza chiede le dimissioni del presidente

Migliaia di persone si sono radunate martedì a Bamako, in Mali, chiedendo le dimissioni del presidente Ibrahim Boubacar Keïta, accusato dall'opposizione di aver messo in piedi un sistema "oligarchico e plutocratico" paragonabile a quello del Libano. Una crisi che deve fare i conti sia con le violenze jihadiste degli ultimi anni che con l’emergenza sanitaria legata al Covid-19. La nostra intervista a Luciano Ardesi, esperto del Paese

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Gli appelli al dialogo della Comunità degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) non hanno scoraggiato le migliaia di persone scese in piazza, nel centro di Bamako, per chiedere le dimissioni del presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta. In una dichiarazione, il Mouvement du 5 Juin / Rassemblement des force patriotiques (M5-RFP), tra i principali gruppi della protesta, ha affermato che il popolo del Mali ha "il diritto ad avere un’attenzione pari a quella espressa dalla comunità internazionale nei confronti dei cittadini di altri Stati africani, ma anche del Libano”. Il motivo? La necessità di “allontanare dal potere dei politici privi di una visione costruttiva”. “Questa politica - si legge ancora nella dichiarazione - ha portato il Mali sull’orlo dell’abisso e rischia di compromettere la stabilità dei Paesi vicini”. La manifestazione, a differenza di quanto avvenuto lo scorso mese, non ha registrato episodi di violenza. A luglio, infatti, ci furono delle vittime a Bamako, con disordini paragonabili per la gravità degli effetti a quelli del lontano 2012.

Le violenze jihadiste

Il Mali da anni è lacerato dalle violenze jihadiste ed ora è anche alle prese con la pandemia del nuovo coronavirus. La crisi si è acuita questa estate, precisamente nel mese di giugno dopo l’annullamento di una trentina di risultati legislativi dello scorso marzo da parte della Corte Costituzionale. In seguito a tale decisioni, i membri della Corte sono stati sostituiti, ma la protesta della popolazione è proseguita. La coalizione M5-RFP è dunque il punto di riferimento dell’opposizione, colpita duramente alla vigilia delle elezioni della scorsa primavera in seguito al rapimento del leader politico Soumaïla Cissé, ancora detenuto da sospetti jihadisti. I manifestanti hanno chiesto ieri, per l’ennesima volta, il suo rilascio.

Gli scenari

"La mediazione internazionale non sta centrando l'obiettivo che si era posta, quello di un Governo di unità nazionale e la piazza di ieri lo dimostra". Lo afferma nell'intervista a Pope Luciano Ardesi, esperto del Paese.  "A nulla è servito anche l'intervento del presidente sulla Corte costituzionale, che secondo alcuni avrebbe potuto invece allentare il braccio di ferro con l'opposizione, la quale dal canto suo - aggiunge - non rinuncia a chiedere il passo indietro del Capo di Stato". 

Ascolta l'intervista a Luciano Ardesi

"La situazione del Mali è critica, per vari motivi - spiega Ardesi - che vanno dalle violenze ripetute negli anni nei confronti della popolazione, fino alla fame aggravata dalla siccità e dai cambiamenti climatici". Violenze alle quali "anche la presenza di militari stranieri non è riuscita a porre fine, anzi secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite sono addirittura in aumento". "Fortunatamente - conclude l'esperto - la manifestazione di ieri non ha fatto registrare gli incidenti dello scorso mese, anche grazie all'appello congiunto dei leader religiosi del Paese che hanno invitato la popolazione a non cadere nella violenza". 

L’invito al dialogo 

L'appello a manifestare è stato mantenuto nonostante l'appello alla moderazione dell'ECOWAS, che ha sostenuto la costituzione di un governo di unità nazionale - al quale l'opposizione si rifiuta di partecipare – escludendo un allontanamento forzato del presidente Ibrahim Boubacar Keïta. Il principale mediatore dell'organizzazione dell'Africa occidentale, l'ex Capo di stato nigeriano Goodluck Jonathan, è tornato in Mali questa settimana e lunedì sera in una conferenza stampa ha lanciato un nuovo appello al dialogo. "Invito gli organizzatori delle manifestazioni a mostrare moderazione. L'intera comunità internazionale sa che ci sono difficoltà in Mali e - ha affermato - stiamo cercando di aiutare il popolo maliano a risolverle". Tra queste certamente le violenze di matrice jihadista, nonostante la presenza sul territorio delle forze ONU, di quelle francesi e dell'Africa occidentale. Una violenza che riguarda ormai anche i confinanti Niger e Burkina Faso.

L’appello dei leader religiosi 

Anche i leader religiosi del Mali hanno più volte invitato la popolazione alla calma ed al dialogo. Dopo i violenti disordini dello scorso luglio, il presidente dell’Alto Consiglio Islamico, Cherif Ousmane Madani Haidara, il cardinale Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, ed il presidente dell’Associazione dei gruppi delle Chiese e delle missioni protestanti evangeliche, Nouhou Ag InfaYattara, si sono rivolti alla popolazione attraverso i canali dell’emittente pubblica Ortm. Il cardinale Zerbo, in particolare, ha affermato che il Mali non merita ciò che sta accadendo, si è detto addolorato per le vittime degli scontri ed ha esortato a pacifici accordi. Il presidente dell’Alto Consiglio islamico ha aggiunto che la situazione attuale non farà che aggravare le difficoltà del Paese. “Chiedo ai cittadini di calmarsi, qualunque siano le difficoltà, quando si comincia un vero dialogo può esserci una soluzione”.
 

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12 agosto 2020, 12:04